Jeremy Strong sul destino di Kendall Roy in Succession: “È bloccato in un urlo silenzioso”

L'attore, tra i protagonisti della serie Hbo, ha parlato con The Hollywood Reporter del finale devastante, del perché lo consideri una morte e di come rifletta il nostro tempo. Attenzione, l'articolo contiene (vari) spoiler

[Questo articolo contiene diversi spoiler su Con gli occhi aperti, finale di serie di Succession]

In una serie segnata da ascese e cadute fulminee, nessuno in Succession è caduto più violentemente di Kendall Roy. Se il “figlio maggiore” di Logan è rimasto completamente solo alla fine di Con gli occhi aperti, scritto da Jesse Armstrong e diretto da Mark Mylod, perlomeno Jeremy Strong ha avuto una buona compagnia nella serata finale, guardando l’episodio insieme a una stretta cerchia di persone.

“Penso che qualcuno abbia pensato che questo momento potesse passare” racconta Strong a The Hollywood Reporter a proposito della reazione del pubblico al destino di Kendall, rovesciato un’ultima volta nella sua lotta per indossare la corona della Waystar. “Forse si rifarà una vita. Forse si alzerà da quella panchina e camminerà in una direzione diversa, e forse avrà una qualche versione di una vita”.

Di certo non è così che la vede Strong. Parlando con THR, l’attore ha spiegato perché considera la scena finale di Kendall come la morte per il personaggio, dicendo di aver girato una versione alternativa della scena in cui si precipitava sulla ringhiera di Battery Park, con l’intenzione di gettarsi nell’East River. Proprio come è successo con il destino di Tony ne I Soprano, il Kendall di Strong vive ora in questo stato permanente di animazione sospesa, né vivo né morto, né speranzoso né senza speranza. Ma l’interpretazione dell’attore è valida: Kendall ha chiuso. Questa volta non si rialzerà. Qui di seguito ci spiega il perché, e molti altri dettagli sulla fine di Kendall.

Nel finale, Kendall racconta che suo padre gli promise il suo regno quando aveva 7 anni. Era un’informazione nuova per lei o quel momento è sempre stato presente nella sua comprensione del personaggio?

Jesse mi ha dato una “bibbia”, una cronologia di Kendall, che ho sempre avuto con me e a cui ho fatto riferimento da quando abbiamo iniziato. Era un ricordo che mi portavo dietro. Nella mia mente, è successo concretamente in un posto di nome Candy Kitchen, sulla Route 27 negli Hamptons. Jesse mi ha permesso di inserirlo per cristallizzare il ricordo. Ma in un certo senso è lì che si trovano i semi della distruzione. Il bambino è legato all’uomo. È una promessa, ma anche una condanna. Lui non ha una vera possibilità. Il padre gli dice: “Un giorno, tutto questo sarà tuo”. E questa diventa la sua ragion d’essere, la sua unica ragion d’essere. E quando alla fine la perde, come vediamo in questo episodio, è un evento pari all’estinzione.

Sarah Snook, Kieran Culkin e Jeremy Strong in una scena di Succession

Sarah Snook, Kieran Culkin e Jeremy Strong in una scena di Succession

Kendall è sempre stato quel bambino di 7 anni nel negozio di caramelle, in attesa del suo turno alla guida della fabbrica di Wonka?

Già. Suo padre non ha mai permesso a nessuno di noi di crescere e diventare adulti. Siamo sempre stati ostacolati e sminuiti. Questa terribile mancanza di autostima lo ha tormentato per tutta la vita, mentre allo stesso tempo credeva che questa cosa sarebbe stata un modo per affermare la propria autostima. Lo stavo dicendo a un amico l’altro giorno: la scrittura di Jesse è come un tiratore scelto che colpisce un bersaglio a sette anni di distanza. Sapeva sempre dove sarebbe andato a parare. Io non lo sapevo, ma avevo un brutto presentimento.

L’avrebbe turbata, sapere dove sarebbe andato a finire Kendall?

No, non mi avrebbe turbato. Nell’autobiografia di Elia Kazan, lui scrive che il momento più importante da sapere per un attore è il finale. L’ultima battuta. Devi fare un’analisi di tutto, più indietro che puoi, in modo da conoscere la distanza che devi percorrere. In un certo senso, abbiamo fatto venti film. Abbiamo realizzato quaranta ore di narrazione. Ogni episodio ha un proprio arco narrativo? È più o meno così. È la lenta e incommensurabile morte di Kendall Roy. Per me potrebbe essere questo il titolo della serie. Sapevo che sarebbe stato un finale tragico. Che la tragedia fosse ottenere ciò che vuole o non ottenere ciò che vuole… erano entrambi finali tragici. Per ottenere ciò che vuole, ha ipotecato fino all’ultimo grammo di ciò che di buono c’era in lui. Ha ipotecato la sua integrità, i suoi principi morali. Ha perso i suoi figli, ha perso l’amore, i suoi fratelli, suo padre. Ha fatto un patto col diavolo per eleggere Jeryd Mencken come presidente. Deve ottenere questa cosa, altrimenti nulla di tutto ciò ha avuto senso, e la sua vita è stata vana, e la sua vita è solo un colpo andato a vuoto. Ed è quello che accade alla fine.

Kendall è stato messo in ginocchio così tante volte in passato, e ogni volta è riuscito a risalire la china. Perché sentiamo che questa sconfitta è ancora più definitiva per Kendall, secondo lei, a parte il fatto che è la fine della serie, ovviamente?

Jesse e io potremmo avere risposte diverse. Dal punto di vista filosofico, in termini di una visione a lungo termine della natura umana, le persone fondamentalmente non cambiano e di solito non fanno la cosa più importante, non hanno un finale da fiaba. Non colgono l’attimo fino alla sua crisi. La vita è più che altro una zona grigia in cui si ripetono gli errori e si vive sulla stessa linea di faglia su cui si è sempre vissuto. C’è un episodio, nella prima stagione, in cui sono a capo di un tentativo fallito di colpo di stato. Sto correndo attraverso il tunnel. Esco dalla sala riunioni passando da quella stessa porta in uno stato molto simile di collasso interiore, di fallimento e di sconfitta. Ho camminato per le strade in uno stato di stordimento simile. Ho detto a Jesse e Mark: “Non posso farlo di nuovo. C’è una progressione qui. La posta in gioco è molto più alta ora. Se non divento Ceo adesso, non lo diventerò mai”. Questa volta è la prima volta che perde tutto. Da dentro, sentivo che non c’era modo di tornare indietro. Per questo motivo, quando eravamo in acqua, ho cercato di entrare (Strong ha parlato delle riprese di una scena in cui Kendall si getta nell’East River durante la sua partecipazione al podcast di Succession della Hbo, ndr).

Una scena dalla nona puntata della quarta stagione di Succession

Una scena dalla nona puntata della quarta stagione di Succession

L’acqua è un simbolo potente e spesso distruttivo in Succession. Kendall avrebbe potuto annegare nella prima stagione con il cameriere, ha rischiato di annegare nella terza stagione e il suo istinto come Kendall alla fine è stato quello di saltare il parapetto a Battery Park. L’acqua ha persino l’ultima parola nella storia, con le onde che pronunciano le ultime battute del dialogo. Cosa ne pensa dello scopo dell’acqua in questa storia, è una marea che torna sempre per spazzare via Kendall?

Il simbolismo dell’acqua, della rinascita e della morte, dell’inconscio e dell’ombra… sono tanti. Sarebbe falso dire che ho una risposta specifica al tema dell’acqua, ma penso che, in un certo senso, lui sia legato a quella linea d’acqua. È sempre su quella linea, a cercare di tenere la testa fuori dall’acqua. Ma la risacca è lì. È sempre lì che minaccia di sommergerlo. Questa è la sua dipendenza. È il nulla, quello che lui è secondo Roman. La sensazione di non essere nulla lo farà affondare. Deve rimanere al di sopra di essa. C’è una poesia di John Berryman intitolata Dream Song 29 che Jesse ha usato come chiave per la mappa dello show. “Una volta una cosa si è posata sul cuore di Henry, così pesante che dopo cento anni di insonnia e pianto, non può rimediare”. Ogni finale prende il nome dalla poesia, e in questo, Con gli occhi aperti, l’immagine è questo spazio spettrale e colmo di rimprovero che è nella sua mente, che lo fissa con gli occhi aperti. Non è Kendall. È la somma di tutti i suoi crimini. Non solo la morte del cameriere, ma anche la distruzione della sua vita. Berryman si è gettato in un fiume ghiacciato del Mississippi. L’idea di Kendall era sempre lì, in agguato. Molte volte ho detto a Jesse: “Non credo che ci sia una via d’uscita per me”.

Nel finale o altre volte?

Nel finale, ma anche in momenti precedenti della serie. Mi sono ritrovato nella sala di controllo del Sophie Iwobi Show a pensare al suicidio. Stavo pensando al suicidio sul cornicione dell’edificio nella seconda stagione, dopo quello che è successo con il ragazzo in Inghilterra.

Anche nel finale, si ha la sensazione che Kendall avrebbe potuto premere il pulsante che portava su, nell’ascensore.

Sì, proprio così. È vero. Io di certo ho avuto questa sensazione. Ho sentito la completa cessazione e l’arresto della mia forza vitale e lo spegnimento di ogni speranza rimasta in me e nella mia vita. L’unica cosa possibile da fare, secondo me, era cercare di morire. La cosa incredibile che è successa quel giorno è che quando ho effettivamente scavalcato la barriera, l’attore che interpreta Colin è corso a fermarmi. Girando i film, a volte si fanno cose che vengono tagliate, ma che sono ancora lì per te come attore. Quando ho visto la serie, quell’intenzione di far saltare Kendall, l’impulso, probabilmente era ancora presente nel momento in cui parte la dissolvenza a nero. Lo sta chiamando. Ma il finale di Jesse rimane molto fedele all’integrità della sua visione. Sarebbe quasi troppo facile. Invece, Kendall è bloccato in un urlo silenzioso per sempre. Quel giorno in cui hanno girato la scena finale, a New York era il giorno più freddo del secolo. Era febbraio. La scena è diventata un po’ come quel freddo. Non riuscivo quasi a camminare. Il mio viso bruciava. Mi ha fatto pensare al nono cerchio dell’inferno, che è costituito da venti gelidi e da un lago ghiacciato. In un certo senso, è lì che finisce Kendall.

Jeremy Strong in una scena di Succession

Jeremy Strong in una scena di Succession

Beh, alla fine ha premuto il pulsante per andare giù, nell’ascensore.

L’hanno tagliato, ma c’era una voce nell’ascensore che diceva: “Sto andando giù”. Sarebbe sembrato intenzionale, quindi abbiamo dovuto tagliarlo.

Quello è stato l’ultimo giorno di Kendall, ma il vostro ultimo giorno è stato alle Barbados. Quando abbiamo parlato prima della stagione, aveva detto di aver liberato Kendall in parte rasandogli la testa dopo l’ultimo giorno, con l’aiuto di Sarah Snook e Kieran Culkin. È stato perché aveva la “corona” incastrata nei capelli?

No, perché ogni volta che bevevo da quell’affare, uscivo fuori a vomitare, andavo a nuotare nell’oceano e mi lavavo, poi mi facevo un bel bicchierino di punch al rum (ride, ndr). Quindi non mi rimaneva nulla nei capelli, no. È stata una scena così bella. Rende il finale ancora più straziante per me, solo il vedere la gioia e oserei dire l’amore tra tutti loro. Quando ero sul molo e mi dicevano: “Puoi prendere il gingillo. Sorridi, stronzo”. In un certo senso, l’intero spettacolo è stato costruito in funzione di questo. È così che appare quando ottiene ciò che vuole. In questo caso, ciò che vuole e ciò di cui ha bisogno sono le stesse cose. La sua felicità dipende dalla realizzazione di quello che pensa sia il suo destino. Quel sorriso, quel “Ken felice”, non sapevo che sarei stato così felice come mi sentivo in quel momento. Avevamo già girato anche il finale, quindi sapevo a quale profondità sarei precipitato di lì a poco. Sono solo brillanti rovesci di fortuna nella scrittura. Un brillante salto mortale. Una cosa che ho pensato guardando il finale nel bel mezzo dello sciopero degli sceneggiatori? Gli sceneggiatori, amico. Tutto inizia con loro e finisce con loro. Tutto ciò che facciamo come attori è dovuto alla scrittura. Senza gli autori non siamo niente. Niente.

Nella scena finale di Kendall con Shiv e Rome, Shiv dice a Ken: “Non credo che saresti bravo”. Kendall ci crede davvero?

Non credo che lei ci creda. Penso che lei stia esercitando un potere per vendicarsi di lui, una vendetta infantile che è vecchia e che fa pensare che forse queste persone non hanno la capacità di esprimere amore e rinforzo positivo, quando tutto ciò che hanno ricevuto è un rinforzo negativo e una sorta di abuso. È come quando abbraccio Roman, ma gli faccio anche male.

Ken ha fatto apposta a fare del male a Rome?

Sì, ma credo anche di farlo perché so che è ciò di cui ha bisogno in quel momento. Lui vuole essere ferito. Vuole essere ferito, perché è così che noi come famiglia riconosciamo l’amore. Questo è ciò che ci ha dato nostro padre, questo è ciò che ci ha dato nostra madre. È un’espressione distorta dell’amore.

C’è l’abbraccio, e poi c’è Kendall che afferra il viso di Roman…

Sia io che Kieran vogliamo fare qualcosa di autodistruttivo in una scena. Lui dice sempre: “Andiamo lì”. Non sapevo come si sarebbe manifestato fisicamente, ma sì, volevo cavargli gli occhi. Ma se allarghiamo lo zoom, il punto di forza di questa serie, e l’ottavo episodio ha fatto davvero centro in questo senso, è il modo in cui tutte queste aggressioni fuori luogo e i momenti di vendetta personale in questa famiglia vengono amplificati fino ad avere un impatto deleterio sul mondo su scala globale. Non si tratta solo di rivalità tra fratelli. È l’effetto farfalla della tossicità all’interno di una famiglia e della tossicità nel mondo. Questo è il risultato della scrittura di Jesse. La morte del mio personaggio, questa morte lenta, morale e spirituale, come quella di Michael Corleone… Jesse l’ha usata per indicare qualcosa nella nostra cultura, in questo momento di capitalismo all’ultimo stadio, in questo momento della nostra vita politica. Decadenza terminale, crollo dell’impero, accanto al crollo di un uomo e del suo impero. È un documento profondo dei tempi in cui viviamo, una cronaca dei nostri tempi.

Jesse la chiama tra 10 anni e le dice che ha un’idea per Kendall Roy. Sì o no?

Jesse può chiamarmi in qualsiasi momento, in qualsiasi anno, in qualsiasi luogo, io sono pronto ad ascoltarlo.

Intervista tagliata per questioni di lunghezza e chiarezza.
Succession è ora disponibile in streaming su Sky e Now.

Traduzione di Nadia Cazzaniga