Stefania Rocca: “Ho detto no a Le ragazze del Coyote Ugly e a Lars Von Trier, ma mi pento solo del secondo”

Stefania Rocca torna a teatro con Chicago e in tv con Anima Gemella, mentre sulla piattaforma Paramount+ fa perdere la testa a Carlo Verdone. In questa intervista racconta come si possa conciliare la recitazione con la genitorialità, i rifiuti voluti e dovuti e che presto, forse, esordirà alla regia. Ci dice tutto, insomma, ma non chiamatela first lady

Serie tv, teatro, fiction. Potendo, il poco tempo libero che gli rimane lo passerebbe a picchettare insieme ai colleghi americani che stanno lottando per il riconoscimento dei diritti di streaming. Stefania Rocca, attrice, moglie e madre, i tre ruoli principali raccontati in questa intervista, sta vivendo un momento di super esposizione mediatica. In questi giorni è su Paramount+ con la seconda stagione di Vita da Carlo insieme a Verdone, in procinto di girare anche la terza. L’11 ottobre sarà in prima serata su Canale 5 con la fiction Anima gemella di Riccardo Miccichè insieme a Daniele Liotti , con cui ci farà scoprire i poteri esoterici della sua Torino. Ha da poco debuttato con un tutto esaurito al teatro Nazionale di Milano con il musical Chicago, per la regia di Chiara Noschese, in cui interpreta Velma Kelly, ruolo che a Broodway fu anche di Ute Lemper e al cinema di Catherine Zeta Jones.

Una carriera quella di Stefania Rocca che avrebbe potuto sconfinare in America se solo avesse ascoltato i consigli di Antony Minghella che la diresse ne Il talento di Mr. Ripley e che le consigliò di andare ad Hollywood  e non tornare più indietro. “Ci sono andata a Los Angeles e mi avevano anche proposto di fare Le ragazze del Coyote Ugly, ma leggendo la sceneggiatura mi sono detta: se devo rimanere qui per fare questi film, vaffanculo e me ne torno in Europa a fare il cinema che conosco e che amo” ci precisa subito Stefania Rocca, che ci confida anche di aver detto altri pesanti no, tra cui uno al suo mito Lars Von Trier.

Questa volta però per precedenti obblighi contrattuali con un’altra produzione. “Avrei dovuto girare L’Anticristo in contemporanea con una serie tv con cui avevo già firmato. Ho pregato la produzione in tutti i modi di lasciarmi libera qualche settimana per poter girare il film, e anche Lars avrebbe carinamente aspettato i miei incastri, ma non c’è stato verso. E ho dovuto, mio malgrado, dire di no al mio regista preferito”. Sposata con Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda con cui ha due figli, Leone e Zeno, ogni tanto le tocca interpretare anche il ruolo istituzionale della first lady, specie durante la Fashion Week di Milano, dove l’abbiamo incontrata sul red carpet dei Sustainable Fashion Awards al Teatro alla Scala di Milano.

Come si trova ad indossare i panni di una first lady?

Diciamo che non penso di essere portata per questo ruolo, anche perché io e mio marito abbiamo comunque un modo di vivere abbastanza indipendente. Ci spalleggiamo per quanto possiamo, ognuno ha un suo binario, lui non fa il marito di Stefania Rocca e io non faccio la first lady, che è comunque un concetto improprio.

In che senso?

Il concetto della first lady è quando fai solo quello, quando entri solo in quel ruolo e sei la prezzemolina al seguito del Presidente. Io in realtà vado quando posso perché mi fa piacere stare con mio marito.

Volente o nolente siete una coppia dello showbiz molto in vista, magari capiterà anche il contrario no?

Assolutamente sì! Ogni tanto Carlo viene alle mie prime. Io però mi vedo più come moglie senza un ruolo istituzionale, più come compagna che come first lady. Se mi chiamano così, mi viene da ridere.

La moda a quell’evento, attraverso Donatella Versace, ha lanciato un messaggio molto forte contro le politiche discriminatorie nei confronti del popolo LGBTQI+, che ne pensa?

La moda è un già da un pò di tempo che lavora su determinati temi come l’inclusione e la sostenibilità. È stata una serata davvero molto importante. Da quando Carlo è Presidente, questo lo dico non perché è mio marito, in effetti si è lavorato tanto in questo campo.

Il mondo del cinema secondo lei fa lo stesso?

Matteo Garrone con Io Capitano ha dato un bel segnale. Il suo film racconta quello che sta succedendo con l’immigrazione, senza il cinismo con cui viene normalmente trattato l’argomento. Sono piccole eccezioni perché il nostro cinema non fa sistema come quello della moda. Non siamo tanto uniti da riuscire fare delle battaglie, per esempio sui contratti nazionali.

Stefania Rocca, Bryan Ceotto e Simone Sisti ne La madre di Eva

Stefania Rocca, Bryan Ceotto e Simone Sisti ne La madre di Eva

Lei per esempio cosa farebbe?

Nel mio piccolo l’ho fatto a teatro con La madre di Eva, uno spettacolo che tratta il tema della transizione, pure con tante difficoltà, perché poi molte persone, le dico la verità, hanno anche avuto paura a fare quello spettacolo. Ci ho messo due anni a trovare le persone giuste che avessero il coraggio, insieme a me, di portare avanti un argomento che è semplicemente uno specchio della società.

Perché?

Perché il teatro o il cinema deve essere semplicemente intrattenimento, spettacolo, non può essere una cosa politica, perché potremmo poi ritornare alla propaganda. Ma potrebbe essere anche uno specchio di quello che succede nella realtà per portare il pubblico a una consapevolezza diversa.

Cosa impedisce di esserlo?

È molto difficile perché tu che sei artista puoi scegliere di fare quella roba lì, ma poi se non hai la produzione, la distribuzione, magari il tuo film non passa nei circuiti giusti e rimane qualcosa di piccolo e invisibile.

Quando vede le sue colleghe americane che vanno a picchettare, che cosa pensa?

Perché non lo facciamo anche noi?

E perché non lo fate?

Anche noi ci stiamo battendo per avere riconosciuti i diritti delle piattaforme, ma lo facciamo in forme diverse. Perché non ci siamo uniti a loro? Perché non stiamo scioperando nello stesso momento? Perchè non dimostriamo che i diritti comunque sono uguali per tutti, indipendentemente dallo Stato dove stai, indipendentemente da chi ti gestisce?

Che risposta si è data?

Che noi non abbiamo un vero e proprio sistema. Quindi diventi una mina vagante, non ti frega un cazzo di nessuno e pensi che tanto se non lavori tu prendono sicuramente qualcun altro. Però con questa minaccia non faremo mai sistema, non avremo mai il coraggio di farlo. Noi con Unita lo stiamo facendo, ma ovviamente con 2.000 iscritti devi confrontarti anche con gli altri. Io posso prendere parte ad un picchietto come Stefania Rocca, perché magari gli altri vogliono essere più cauti, meno battaglieri, diciamo meno Giovanna d’Arco. Quindi devo rispettare le convinzioni degli altri iscritti se voglio fare sistema. Sono meccanismi, di equilibri che si devono mantenere.

Ha mai pensato di fare politica?

No! Neanche se mi pagano. Faccio politica attraverso il mio lavoro.

La madre di Eva avrà un seguito?

Lo riprendo appena finisco Chicago, saremo al Franco Parenti di Milano e poi al Parioli a Roma. Stiamo scrivendo anche la sceneggiatura per farne un film.

La sua prima regia?

 Magari, sì. mi piacerebbe. È da un po’ che ci penso.

Stefania Rocca in Chicago il musical

Stefania Rocca in Chicago il musical

Come è arrivata a Chicago?

La proposta mi è arrivata prima del Covid da Chiara Noschese. Uno spettacolo sulle donne, sul circo che è la società di oggi, davvero fichissimo. Ho detto subito di si. Poi in realtà ci siamo fermati per la pandemia e pensavo non lo riprendessero più, invece eccoci qui.

Come si trova a fare il musical?

Ho già fatto Irma la dolce con Fabio De Luigi per la regia di Jerôme Savary. Poi mi sono divertita un sacco con Pene d’amor Perdute (Love’s Labour’s Lost) di Kenneth Branagh. Lì ho imparato un sacco di roba. Mi è sempre piaciuto il musical. Ad un certo punto sono andata anche Ballando sotto le stelle pensando che lo spirito in fondo fosse simile.

Balla ancora?

In discoteca sì.

Perché ha accettato allora?

Ma nel musical non è che balli poi molto, in qualche coreografia muovo i piedi e le mani. Ho accettato per tutto quello che ci siamo detti prima. Nel senso che comunque in questo musical ci sono tutte donne che si sono ribellate in qualche maniera ad una società che le costringeva a un certo tipo di ruolo. O comunque a stare zitte. Sono donne che si ribellano per avere i propri diritti. Nello stesso tempo però racconta di donne in carcere che giorno dopo giorno cercano comunque di salvare la pelle. Che è esattamente quello che succede nel mondo femminile di oggi. Se pensiamo a quello che sta succedendo alle donne in altri paesi come l’Iran.

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Un musical ancora attuale?

Uno spaccato sociale che racconta gli anni Venti e che in fondo non è ancora cambiato. Ci sono dentro un sacco di concetti ancora purtroppo attuali come quello della giustizia sociale. Se sei più furbo o se hai i soldi per avere un buon avvocato te la cavi. Oppure la dittatura dell’apparenza. Non importa come tu ci arrivi su quel cazzo di giornale ma l’importante è che sei lì, perché se sei lì acquisisci potere e allora ti puoi permettere determinate cose. È tutto un gioco legato al senso dell’apparire, del potere, di quanto potere ti può dare tutto ciò.

Le è piaciuta la versione cinematografica di Rob Marshall?

Sì, mi è piaciuta. Non era male, non era un grandissimo film secondo me, non era un film da Oscar, però comunque era bello. Girato bene.

Stefania Rocca in Chicago il musical

Stefania Rocca in Chicago il musical

Come è stato lavorare in Vita da Carlo con Verdone?

Mi sono molto divertita perché erano tanti anni che non lavoravo con Carlo. Devo dire che lui è molto più sereno e anche io forse, nel senso che comunque ci siamo rincontrati in una fase di maturità dove tutti e due siamo super tranquilli. Io interpreto il personaggio che si innamora di lui e per questo ci prendevamo per il culo. Ci siamo detti anche che in età senile ci si può sempre innamorare. Eravamo più capaci di giocare e scherzare. Adesso faremo anche la terza stagione però non so che cosa mi aspetta. Non ho ancora letto la sceneggiatura.

Stefania Rocca e Carlo Verdone in Vita da Carlo

Stefania Rocca e Carlo Verdone in Vita da Carlo

Dipendesse da lei come farebbe evolvere la vostra storia d’amore?

Nei film di Carlo c’è sempre, e soprattutto in questa serie, una donna che va e che viene. Quindi già che hanno deciso di lasciarmi anche per la prossima stagione mi fa piacere perché hanno probabilmente in mente qualcosa di interessante. Mi auguro solo che non diventi la compagna con i fiori d’arancio. Perché io invece le farei fare ancora duemila cose diverse, avventure folli, divertenti. Il mio personaggio è una che lavora tanto, che fa tutto bene, che trova tutto positivo, scrive libri per bambini, ma è talmente Peter Pan lei stessa, che ha una vitalità che cattura Carlo da quel punto di vista, lui è sedotto dal suo entusiasmo. Anche perché Carlo è uno tendenzialmente molto entusiasta ma con dei momenti di depressione.

Tra poco sarà su Canale 5 con Anima gemella, una fiction sul paranormale.

L’ho girato a Torino a luglio dell’anno scorso. Una sceneggiatura abbastanza complessa che parla di tutto il sovrannaturale. È un thriller su una ragazza che sente delle cose, che ha rapporti con il mondo che c’è tra la vita e la morte.

Stefania Rocca e Daniele Liotti in una scena di Anima Gemella

Stefania Rocca e Daniele Liotti in una scena di Anima Gemella

Lei è di Torino, che fa parte dei due triangoli magici, ha mai sentito questa influenza?

Due o tre volte l’ho avvertita. La città è proprio divisa in due, con due piazze, una per la magia bianca e una per la magia nera. Negli anni ’70 facevano le messe nere nella città sotterranea che ora si può anche visitare. A un certo punto mia sorella più grande ha iniziato a fare delle sedute spiritiche con gli amici, è un percorso che fanno tutti a Torino. E anche per chi viene da fuori è una sorta di iniziazione turistica. C’era questa roba che dovevi per forza andare a vedere, scoprire e fare. Lei aveva quattordici anni e io otto. In effetti c’erano dei momenti in cui si aprivano da sole le finestre, si accendevano le radio, segnali di questo tipo. Mia madre era preoccupata e mia sorella smise.

E lei?

Anche io a  quattordici anni con i miei amici ho iniziato a fare le sedute spiritiche. All’epoca le messe nere da Torino si erano spostate al castello di Rivoli. Andammo una sera, scavalcammo le mura di cinta del castello, entrammo e in effetti assistemmo a una messa nera. Ricordo che ci venne tanto da ridere, perché comunque eravamo dei ragazzini e scappammo. Gli altri amici rimasti fuori non ci credettero e tornammo di nuovo ma stavolta sul muretto che avevamo scavalcato c’erano scritti i nostri nomi. Lì ci siamo spaventati da morire. Da lì in poi sono successe una serie di cose random.

Quindi crede nella magia?

Credo nelle energie, perché comunque facciamo parte di un universo dove mandiamo energie e siamo tutti parte della stessa cosa. Che poi sia quella roba lì, una cosa che influenza, non lo so e non lo voglio sapere. Credo ci possa essere un rapporto tra la vita e la morte, perché la morte è qualcosa semplicemente che noi non vediamo, ma comunque esiste. È un pò Interstellar, non so come dire, cioè i piani temporali esistono.

Il suo ruolo nel film?

Faccio una medium che ha un negozio esoterico e che percepisce che questa ragazzina è nella confusione più totale, che non è in grado di gestire il suo potere e cerco di aiutarla.

Nel ‘98 nel film Viola faceva sesso virtuale anticipando un pò i tempi. Come trova i giovani da questo punto di vista?

Credo che i giovani d’oggi siano molto più avanti di noi. Non è vero che non sanno comunicare, semplicemente scelgono loro con chi comunicare e come, con molta più consapevolezza. Forse fanno un pò più fatica rispetto a noi, ma in qualche maniera sono anche meno narcisi. Non si mettono al centro dell’attenzione.

I social rappresentano un problema?

Adesso tutti dicono che è un problema, ma lo è sempre stato. Sono dipendenti. E noi più di loro. Mi faccio ridere da sola quando dico a mio figlio di togliere il cellulare mentre io ho in mano il mio. In realtà siamo quelli che in qualche maniera hanno creato tutto questo. È inutile dire ‘cancelliamo tutto’. Non è possibile. Non si può tornare indietro. Si possono trovare delle cose che siano alternative.

Tipo?

I miei figli fanno sport. Sono appassionati. Hanno un’alternativa.

Che mamma è?

Sono una mamma che lavora, una madre di due maschi che se non c’è 24 ore su 24 non è perché non gli voglia bene o non sia un bravo genitore. Voglio essere indipendente, avere le mie passioni, i miei interessi. Credo faccia bene anche a loro.

Fa fatica a conciliare tutto?

Quando ho scelto di fare La madre di Eva non è stato un caso, per me è stato un colpo di fulmine perché raccontavo due cose che erano per me fondamentali. La prima è la capacità di vedere le altre persone da diverse prospettive che non siano solo le tue ed è quello che cerco di fare con i giovani. Come genitori sappiamo sempre tutto e gli rompiamo il cazzo dall’inizio alla fine con regole che sono nostre, che ci hanno inculcato i nostri genitori ma che forse non sono più giuste. Ti impediscono di avere una vera visione di quello che è il mondo oggi. Lo dicevo sempre a mia madre che il mondo è cambiato e ora i miei figli lo dicono a me.

E poi?

Dall’altra parte c’è il rapporto che hai con la società legato al ruolo di madre. Per cui tutto quello che sbagliano i tuoi figli è sempre colpa della madre, che deve essere presente, educare, e non se ne esce neanche in presenza di un marito. Ogni volta che i miei figli hanno fatto qualcosa la colpa era sempre mia perché io non ero una mamma abbastanza presente. Esiste allora un codice per essere genitore? Ci sono delle regole? Oppure ognuno può esserlo in base al figlio che ha davanti e alla sua personalità? Invece ci sono sempre quei ruoli che la società ti impone e con cui ti etichetta.

Miglioreremo o andrà sempre peggio?

La nuova generazione sta cercando di togliere tutte queste etichette, vorrebbero superare tutte quelle che abbiamo dato noi, magari allargarle e metterne addirittura altre, per poi arrivare a cancellarle tutte. Loro stanno vivendo in un mondo molto più aperto no?