Giotto, Padova e i Carraresi: quando l’arte era il trono di spade delle signorie

In sala con Magnitudo il film di Francesco Invernizzi Giotto e il sogno del Rinascimento, documentario sul lavoro dell'artista fiorentino nella città medievale: "Un viaggio immersivo in 8k che permette di scoprire dettagli quasi invisibili a occhio nudo"

Il Rinascimento, ma duecento anni prima di Firenze. Succedeva nella Padova di inizio Trecento, bellicosa signoria in competizione con la vicina Venezia e dominata dall’ambiziosa dinastia dei carraresi. Una famiglia decisa a imporsi nel quadro delle complicate alleanze politiche del tempo (Succession non ha inventato niente) utilizzando l’arma più raffinata a disposizione dei potenti per comunicare la propria infallibilità: l’arte. Che al tempo era, anche e soprattutto, comunicazione: “Nel Trecento l’arte non era una questione privata e individuale, come oggi, ma pubblica. Aveva una funzione di comunicazione e racconto. Doveva spiegare la storia al popolo, che non sapeva leggere e scrivere, e suggerire meraviglia”.

A dirlo è il lombardo Francesco Invernizzi, documentarista e regista del film distribuito in questi giorni in sala da Magnitudo, Giotto e il sogno del Rinascimento: un viaggio immersivo e profondo nelle opere padovane di Giotto, scritto dai “padovani doc” Matteo Strukul e Silvia Gorgi, e realizzato con le più moderne tecniche di ripresa. “Le colonne del film sono due, la qualità tecnica e la spiegazione di ciò che si vede (curata dagli esperti Rita Deiana, Zuleika Murat e Andrea Colasio, ndr). Più che documentari, mi piace pensare di girare dei documenti. Sono convinto che sia importante parlare a tutti, a chi non sa nulla e agli esperti. Abbiamo realizzato il film in 8k, cogliendo dettagli con una qualità di 16 volte superiore a quella dell’hd: riusciamo svelare particolari che pochi conoscono, come la tridimensionalità delle aureole, che Giotto non si limitava semplicemente a dipingere, ma che ‘staccava’ letteralmente dall’affresco”.

Arrivato in città ai primi del Trecento, su invito dei frati minori della Basilica di Sant’Antonio, in soli 855 giorni l’artista fiorentino affrescò la cappella degli Scrovegni, su commissione di un ricco banchiere per espiare i peccati del padre (Reginaldo Scrovegni: un usuraio talmente avaro da finire ne La Divina Commedia di Dante. All’inferno, ovviamente), poi realizzò il ciclo di affreschi del Palazzo della Ragione, infine dipinse i volti delle sante nella Basilica di Sant’Antonio. Un lavoro importantissimo, che segnò un’epoca intera influenzando la generazione dei pittori che avrebbero contribuito dopo di lui a trasformare Padova in una “urbs picta”, una città dipinta. “Il film è un racconto corale, che non celebra solo il genio di Giotto, ma anche quello di Francesco Petrarca, luminare della poesia che a Padova trovò il proprio porto sicuro, Giovanni Pisano, maestro della scultura, e Pietro d’Abano, filosofo, medico, astrologo e negromante in odore di eresia”.

Il film – finanziato con denaro pubblico, attraverso crediti imposta e bandi regionali per la valorizzazione del territorio (“Peccato che questi progetti dallo sfondo culturale vengano finanziati meno di altri”) – è frutto di due anni di lavoro, uno di preparazione e quattro settimane di riprese “in luoghi delicatissimi, dove ho girato sempre di notte”.

Giotto e il sogno del Rinascimento avrà una distribuzione internazionale in 74 paesi, per uscire in un secondo momento con Cecchi Gori Entertainment su piattaforme. “L’Italia esercita un grande fascino all’estero per la sua storia: il mondo ci guarda, ma non tutti possono permettersi di venire fin qui. Film come questo permettono, anche a chi non ha gli strumenti economici necessari, di accedere alla bellezza”.