Elisabetta Olmi: “Mio padre Ermanno voleva girare un film in Russia su Marija Judina. Era un artista lungimirante, influenzato da cosa gli accadeva intorno”

In occasione della seconda edizione di Film Impresa, e del premio instituito in onore del regista e sceneggiatore bergamasco, la figlia ne ricorda il successo universale de L'albero degli zoccoli e presenta l'inedito L'uomo e il mito con Valentino Rossi: "Tra brave persone ci si riconosce subito"

“Lungimiranza”. È la parola che Elisabetta Olmi, figlia del maestro Ermanno, utilizza per descrivere la propensione del padre verso il cinema e il suo attaccamento al reale. La lungimiranza di un cinema che lo ha portato sempre a confrontarsi col discorso sul rapporto tra l’uomo e la natura, tra l’ambiente e come gli esseri viventi lo abitano. Ma anche un anticipatore, come dimostra l’ultimo progetto mai realizzato.

“Voleva girare un film in costume sulla pianista russa Marija Veniaminovna Judina. Una donna che non ha avuto paura di sfidare Stalin. Il dittatore le scrisse una lettera per dimostrarle la sua ammirazione dove c’erano anche dei soldi e lei, per tutta risposta, lo ringraziò dicendogli che avrebbe devoluto il denaro nella sua chiesa pregando per le atrocità che aveva commesso”.

Prosegue Elisabetta Olmi: “Solo che, per girare, voleva andare prima in loco. Diceva che se non sentiva l’odore della terra russa non avrebbe potuto capirne a pieno la storia. Stava organizzando tutto per girare in camper. Voleva raccontare la vicenda di una donna piccolina, tra le artiste più brave mai esistite, che sfidò il potere. Un’opera per dire che, forse, è il coraggio ciò che ci serve nella vita. E magari per dirne anche quattro a Putin”.

L’eroe e il mito, l’inedito con Valentino Rossi

E di coraggio Elisabetta Olmi ne trova anche per parlare del padre. “Sono troppo timida – ammette – Ma vi ricordate le cose che diceva Ermanno nelle interviste? Non potrei mai equipararle”. Il desiderio di continuare a tramandare il lavoro dell’autore de Il posto, però, è più forte di qualsiasi timore.

È per questo che nell’ambito della seconda edizione di Film Impresa, progetto di Unindustria che mira alla valorizzazione dell’imprese di chi ci lavora attraverso i film d’impresa, viene a presentare senza remore l’inedito del padre L’eroe e il mito, prodotto dall’azienda Dainese e con protagonista Valentino Rossi.

Di Ermanno, come sostegno, si porta dietro le parole: una lettera che il regista scrisse al campione motociclistico “sempre ben disposto alla gioia”, come lo descriveva.

L’amicizia con Lino Dainese

L’eroe e il mito è un’operazione che “nasceva dall’amicizia con Lino Dainese, conosciuto in occasione di Centochiodi per la tuta con cui voleva che Raz Degan scappasse da Bologna. Ermanno ha avuto un’altissima considerazione di Lino, soprattutto del suo voler migliorare i propri prodotti per proteggere al meglio l’esistenza di chi li indossava. Ed è sempre questo che lo ha affascinato: concretizzare l’immaginario di un oggetto rendendolo reale nel momento in cui gli si attribuisce il valore della vita”.

Non a caso ne L’uomo e l’eroe il momento della vestizione di Valentino Rossi è sacrale, uno spiraglio privato in cui l’uomo sceglie con quale tuta andrà a correre. Un attimo intimo, in cui lo sportivo non ha mai fatto entrare nessuno, se non il suo amico d’infanzia Uccio Salucci. Una concessione, un regalo che Olmi ha inserito nel progetto: “È perché tra brave persone ci si riconosce subito”, spiega la figlia Elisabetta.

“Valentino deve essersi sentito a suo agio. Ermanno non voleva fare una vera e propria intervista, ma più un chiacchierata, come quando due persone si incontrano su un treno e si raccontano la propria vita. Ha detto a Rossi di vedersi in un posto che fosse per lui caro, dove si sentisse al sicuro, così si sono seduti in un bar di Riccione in cui passava il tempo con i suoi amici. Non dico che Valentino abbia visto in lui una figura paterna, ma sicuramente una persona che lo stimava. Per questo quando gli disse che se avesse avuto modo di poter riprendere la sua “vestizione”, avrebbe sicuramente alzato l’asticella”.

Il premio Ermanno Olmi

Diviso in tre momenti, il breve documentario passa dall’osservazione della natura messa a confronto con le abilità di protezione dell’uomo all’archivio Dainese e alla tecnologia per perfezionare i propri prodotti, arrivando fino al dialogo con “l’eroe”, in cui la sequenza della scelta della “armatura” richiama il Giovanni dalle bande nere del suo Il mestiere delle armi.

Francesca Archibugi vince il premio Ermanno Olmi 2024 durante la seconda edizione di Film Impresa

Francesca Archibugi vince il premio Ermanno Olmi 2024 durante la seconda edizione di Film Impresa

“Le scrivo col sentimento dell’amicizia che nasce dalle intense emozioni che lei ci ha dato come grande campione sportivo e ancor più per le sua qualità di persona perbene”, aveva scritto Olmi a Rossi per convincerlo a partecipare. “Un uomo, un campione e un eroe che non si vergogna di mostrare le proprie lacrime mostra il meglio di sé”.

Anticipatore, visionario, maestro. Un autore a cui Film Impresa ha intitolato un premio promosso dalla Fondazione Eos – Edison Orizzonte Sociale ETS e vinto nel 2024 dalla regista e sceneggiatrice Francesca Archibugi. “Un riconoscimento importante, che dimostra che un’impresa, se umana, può dare fiducia per realizzare grandi cose”, afferma Elisabetta Olmi, ripercorrendo i giorni da fattorino di Edison-Volta del padre, a cui venne affidata la parte ricreativa per i dipendenti dell’azienda, con un occhio sul cinema.

Il successo de L’albero degli zoccoli

E continua, sul versante personale: “Di lui ho memoria come di un padre che ha lasciato un bagaglio ingombrante, non necessariamente per il confronto con la sua figura, ma perché avremmo avuto risposta a tante domande che ci erano state poste solamente più tardi”.

Un artista “sempre stimolato da cosa gli accadeva attorno, che dagli inizi fino ai suoi ultimi film, in particolare Il villaggio di cartone, ha raccontato il ritorno alle radici e le vite degli ultimi”.

Ricorda la figlia: “Non rivedeva i suoi film, men che meno al cinema. Non ne aveva uno preferito, perché metteva in tutti la stessa passione. Sapeva che L’albero degli zoccoli era piaciuto tanto, in Italia e all’estero, perché tutte le popolazioni, nella loro storia, avevano lavorato la terra. Sapevano riconoscersi, dall’importanza del lavoro agricolo al valore degli animali. Fu recepito chiaramente da tutti quanti, nonostante fosse parlato completamente in bergamasco”.