Berlinale 2024, è Cillian Murphy ad aprire le danze: “Per Small Things Like These ho seguito gli insegnamenti di Nolan”

Al festival berlinese l'attore candidato all'Oscar cambia direzione, recitando come protagonista in un dramma intimo e crudo su un uomo che lotta contro gli abusi della chiesa cattolica nell'Irlanda della metà degli anni Ottanta. "Nessun set costruito in questo film, ogni location è reale". L'intervista di THR

Continua a essere un inverno fitto di impegni per Cillian Murphy, che ha ottenuto una nomination agli Oscar come miglior attore protagonista per il suo film Oppenheimer, che ha incassato un miliardo di dollari. In più, Murphy sarà presente alla serata di apertura del Festival di Berlino per la prima del suo ultimo film, Small Things Like These.

Diretto da Tim Mielants, il dramma d’epoca è tratto dal romanzo Piccole cose da nulla della scrittrice irlandese Claire Keegan – autrice anche del libro che ha ispirato il dramma candidato all’Oscar The Quiet Girl di Colm Bairéad – e si svolge in una piccola città irlandese nel 1985, nelle settimane precedenti il Natale. Murphy interpreta Bill Furlong, un commerciante di carbone e padre di famiglia che viene a conoscenza di abusi nel convento locale, abusi che lo costringono a confrontarsi con il trauma della propria infanzia e a fare una scelta etica. Lo sfondo è la storia reale delle Magdalene Laundries, istituti gestiti dalla Chiesa cattolica in Irlanda, apparentemente allo scopo di educare e dare un lavoro alle “donne perdute”.

In vista di Berlino, Murphy ha parlato con THR della produzione di Small Things Like These, delle riprese in loco in molti dei luoghi ritratti nel romanzo e di un’importante lezione appresa da Christopher Nolan.

Come ha scoperto il libro di Claire Keegan, Piccole cose da nulla?

Sono un fan di Claire Keegan come scrittrice e avevo già letto il libro. Mi è rimasto in testa per molto tempo, ma poi ho pensato che fosse troppo tardi e che i diritti fossero già stati acquisiti. Mi sono informato e, miracolosamente, erano ancora disponibili. Credo che ci fossero anche altre persone a fare offerte, ma per fortuna ce l’abbiamo fatta.

Ho chiesto immediatamente al mio amico e collaboratore di lunga data, il drammaturgo irlandese Enda Walsh, di scrivere la sceneggiatura. Lo conosco e mi fido molto di lui, che conosce quel mondo e adora Claire. Poi sono successe un po’ di cose per coincidenza e molto rapidamente. Il mio socio produttore, Alan Moloney, gliel’ho portato e lui ha detto: “Ok, facciamolo”. Poi l’ho portato a Matt Damon e lui ha detto: “Facciamolo”. All’epoca, stavano giusto creando la loro società di produzione Artists Equity con Ben Affleck. È stato un caso fortuito, per molti versi.

Che cosa le ha fatto pensare che la storia si prestasse a un adattamento cinematografico?

Sulla carta è una storia minuscola, ma che affronta temi enormi. Sentivo che avremmo potuto fare un film bellissimo, meditativo, di grande atmosfera ed emozionante. E aveva già quello che la maggior parte delle sceneggiature fatica ad avere: un finale che spacca. È quello che cerco sempre, perché le sceneggiature con un buon terzo atto sono così difficili da trovare.

Mi sembrava anche che il personaggio fosse complesso e difficile da interpretare, perché diceva così poco, ma c’era così tanto sotto la superficie. Mi piace questa sfida. Inoltre, nel mio Paese stiamo ancora affrontando il trauma di tutto questo. Penso sempre che l’arte possa essere più potente dei documenti governativi, degli editoriali o dei testi accademici. L’arte a volte può aiutare a guarire in modo più potente.

Perché era importante girare a New Ross, dove è ambientato il libro?

Mi sembrava che la città fosse come un personaggio del libro. Una volta ottenuti i diritti e una volta che Enda ha scritto la sceneggiatura, siamo andati immediatamente a fare un sopralluogo a New Ross. Non era mai stata usata come location prima. Era così bella, ed era perfetta. Camminando per le strade riuscivamo a percepire l’energia del romanzo. La seconda cosa che ritengo molto importante – e ho imparato molto da Chris Nolan a questo proposito – è il potere delle riprese e dei luoghi e di non costruire set.

In questo film non abbiamo costruito un solo set, ogni singola location è reale. Abbiamo ripreso l’esterno della Magdalene Laundry che si trova nel romanzo. La casa di Furlong è una minuscola casa che abbiamo trovato in una via con tante villette a schiera. Mi sembra che questo cambi l’energia del film, in termini di estetica, ma anche per gli attori e il regista. Non è pratico, devi cercare di far entrare troupe, telecamere e luci in questi spazi minuscoli, ma ripaga, dal punto di vista emotivo.

Abbiamo fatto un’intensa attività di scouting per molto tempo. Nessuna delle nostre location era già stata utilizzata in un film. In Irlanda, in qualsiasi città o paese, ci sono location che appaiono in continuazione. Il nostro scenografo è riuscito a trovare nuove versioni di queste cose a New Ross che non erano mai state girate prima. È stato inquietante e a volte difficile, come girare in quelle lavanderie. Si percepisce l’energia e si sa cosa è successo lì. Eravamo tutti molto consapevoli di questo.

Com’è stato girare nella comunità in cui si sono svolti gli eventi del libro?

È stato utilissimo. Erano anche molto contenti della nostra presenza. Abbiamo inserito nel casting molti ragazzi del posto, molte comparse sono del posto. Tutti i consiglieri, i politici locali e tutti gli altri non avrebbero potuto essere più disponibili nel darci i permessi. Non avremmo potuto girarlo in nessun altro posto, per via di tutte quelle strade profonde e del fiume che attraversa la città, con le guglie dappertutto e la presenza della Chiesa cattolica, è quasi come una città fortificata. È ovunque si guardi.

La storia raggiunge il culmine quando Bill è costretto a sedersi di fronte alla direttrice della lavanderia, Suor Mary (interpretata da Emily Watson), che tenta di intimidirlo per farlo tacere. Come ha affrontato questo momento?

Era il fulcro della storia, dal punto di vista di Bill. Suor Mary è un personaggio onnipresente, ma non la incontriamo mai prima di quel momento, e quella era la scena più importante del film. La maggior parte della scrittura e dei dialoghi è così piccola e minimale, e sapevamo che dovevamo avere questa grande resa dei conti nel mezzo. Ma, ancora una volta, niente di tutto questo è nel testo vero e proprio, tutto il significato è nel sottotesto e nel silenzio.

Emily Watson è una delle mie attrici preferite al mondo e ho pensato: “Non sarebbe un miracolo se riuscissimo a farle interpretare la parte?”. In quella scena è terrificante e segue i ritmi di una tradizionale scena di intimidazione mafiosa, anche per quanto riguarda il finale. Ma era molto fedele al libro. È così che si intimidisce una comunità.

Avete avuto il tempo di provare prima delle riprese?

Non sono un grande fan delle prove. È stato molto bello essere il produttore di questo film, perché, in tandem con il regista Tim Mielants, siamo riusciti a capire dove volevamo arrivare. Dato che nel film c’erano molti bambini e molti attori non professionisti, è stato meglio conservare tutto per il set. Io e Eileen Walsh, che interpreta mia moglie, siamo amici da 27 anni.

Con lei ho fatto il mio primo lavoro in assoluto. Non c’è stato bisogno di fare le prove perché Tim ha detto che, quando metteva la macchina da presa su di noi, si sentiva la storia che c’era tra noi perché ci conoscevamo da così tanto tempo. Con le nostre cinque figlie non abbiamo fatto alcuna prova. Abbiamo passato del tempo con loro e abbiamo fatto delle torte insieme. Ma molte volte, nelle loro scene, Tim si è limitato a far andare la macchina da presa, senza dire “azione”. Si comportano davvero in modo naturale.

Penso che questo sia molto importante perché per i giovani attori, a volte, può essere intimidatorio dire “azione” e “stop”. Ci siamo sentiti davvero come una piccola famiglia in quella minuscola cucina e sono davvero orgoglioso della naturalezza di queste cose. Questo perché quel giorno non siamo stati a pensarci troppo.

La storia è un dramma d’epoca, ambientato nel 1985. Come avete fatto a ritrarre quel periodo in Irlanda?

Quando leggi il libro, ti ritrovi a pensare che potrebbe essere ambientato negli anni Cinquanta. Solo di tanto in tanto si trova un contesto politico dell’epoca, quindi non abbiamo mai voluto mettere una didascalia che dicesse che è il 1985. Lo si sente a volte nella colonna sonora o si sente il politico irlandese Ian Paisley alla radio in modo molto, molto sottile, in sottofondo.

Volevamo fare in modo che ci si trovasse in questo ultimo momento di un certo periodo in Irlanda. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta non c’è stato un grande progresso sociale. Volevamo mantenere questa sensazione. Allo stesso modo, per quanto riguarda i flashback, i ricordi di Bill, non abbiamo mai voluto riprenderli in seppia o dire: “Questo è il 1955”. Volevamo che facessero il più possibile parte del tessuto del film e del suo personaggio.

Ciò significa che il pubblico deve fare un po’ di sforzo per capire cosa sta succedendo, ma una volta stabilito lo schema, è molto, molto chiaro. Ho sempre pensato che il pubblico sia super intelligente. Gli piace fare un po’ di sforzo e gli piace che gli si chieda di stare al passo.

Questo film parla di un luogo e di un’epoca specifici dell’Irlanda. Cosa spera che il pubblico non irlandese riesca a trarre dalla storia?

C’è una meravigliosa universalità in questa storia, soprattutto a causa della sua specificità. Abbiamo proiettato questo film a Los Angeles, nel Regno Unito e in Irlanda e tutti gli spettatori hanno reagito in modo molto profondo a livello emotivo. È esattamente quello che volevamo ottenere.

Traduzione di Nadia Cazzaniga