Sciopero attori, le ragioni della protesta (Hollywood all’inferno, ma la classe operaia non sta in paradiso)

L'adeguamento dei salari, il costo del lavoro, la competizione con le intelligenze artificiali, la difesa del diritto all'uso della propria immagine. Temi che molto rapidamente potrebbero riguardare anche altre categorie di lavoratori

Hollywood in sciopero, dunque. Facile fare ironia. Perché a fare i picchetti non sono gli operai di Ejzenštejn, i metalmeccanici di Elio Petri o i sindacalisti di Bread and Roses, ma le star. Anche le star. Attori ricchi o ricchissimi, volti popolari, cachet stellari. Non sono soli: con loro si muove un esercito di circa 160.000 iscritti al sindacato, cui aggiungere – data la comunione di intenti – gli 11.000 manifestanti tra gli sceneggiatori.

Le ragioni? Sono tre: l’adeguamento dei salari, il costo del lavoro, la competizione con le intelligenze artificiali. Temi che molto rapidamente potrebbero riguardare anche altre categorie di lavoratori, che con il cinema non hanno niente a che vedere. Se Hollywood brucia all’inferno, insomma, la classe operaia non andrà in paradiso.

L’adeguamento dei salari

Sia gli sceneggiatori che gli attori in sciopero chiedono di modificare i compensi per tenere conto dell’aumento dell’inflazione e della contrazione dei cosiddetti “diritti residuali”, ovvero il denaro guadagnato quando un’opera viene riutilizzata. Si parla, in parole povere, di “repliche”: un’entrata sicura e costante su cui gli attori hanno sempre potuto contare, e che l’avanzamento della tecnologia ha spesso messo in discussione.

Nel 1980 – quattro anni dopo la messa in commercio della prima cassetta VHS – i membri della SAG scioperarono perché agli attori venissero garantiti i “residuals” ricavati da una nuova forma di replica, non prevista dal contratto: quella delle vendite in home video. Mezzo secolo dopo si ritorna al punto di partenza: il VHS è un cimelio vintage, chi affittava video cassette ha scoperto lo streaming, e il concetto di replica è sfuggito nuovamente di mano.

Oggi, scrive il Washington Post in un lungo articolo sul tema, un attore che ha recitato come “guest star” in una puntata di Friends riceverebbe più soldi se quell’episodio venisse replicato su Comedy Central piuttosto che in streaming su Netflix – e questo anche se gli spettatori della piattaforma superano di gran lunga quelli dell’emittente. Punto, quest’ultimo, di ulteriore criticità, visto che le piattaforme si rifiutano di garantire trasparenza sui propri dati.

L’equazione – che vale per gli attori come per gli sceneggiatori – è semplice: più una serie ha successo, più la replica acquista valore. Ma se il successo resta un’incognita, il calcolo è impossibile. 

Self tape e “mini writing room”: il costo del lavoro

Da una parte ci sono gli sceneggiatori, che hanno visto cambiare a velocità supersonica il mondo del lavoro: se fino all’avvento delle piattaforme gli autori venivano “blindati” nello sviluppo di un progetto di lunga serialità per 10-12 mesi, portandolo a compimento, adesso i produttori assumono regolarmente un team di scrittori ridotto (le cosiddette “mini-writing room”) per impostare il progetto in qualche settimana, appaltando il resto del lavoro a sceneggiatori freelance. Un po’ come accade, almeno in Italia, nel mondo dell’editoria.

Serie dalle stagioni più brevi (sempre Friends, nel 2003, contava 24 episodi; Bridgerton di Netflix, del 2020, otto) con un intervallo di tempo sempre più lungo fra l’una e l’altra, che “rendono progressivamente più difficile per i nostri membri raggiungere e mantenere uno stile di vita da classe media”, scrivono i sindacati degli attori in sciopero. Ai quali non va meglio: sono recenti le polemiche che hanno investito la CBS, che al momento di rinnovare la commedia Bob Hearts Abishola ha declassato tutti gli attori, tranne due, da cast regolare a cast ricorrente, riducendo il numero di episodi per cui erano stati ingaggiati (e la loro retribuzione). 

Altro punto importante, messo in rilievo dagli attori, è l’abuso della pratica dei self tape, ovvero le audizioni registrate, che hanno rapidamente sostituito – negli Stati Uniti – il sistema dei provini “live”. Una pratica indispensabile durante la pandemia, comoda come un qualsiasi colloquio di lavoro virtuale, che ha continuato a prosperare anche dopo creando un mercato parallelo. Un nuovo standard che richiede luci di alto livello, spazi da affittare e servizi professionali che non tutti possono permettersi. “Il passaggio a provini auto registrati e irragionevolmente impegnativi impone ai nostri membri costi che fino ad ora sono sempre stati responsabilità del casting e della produzione”, dicono da SAG-AFTRA.

Intelligenza artificiale, le regole

Se gli sceneggiatori si battono per garantire che l’IA non sia utilizzata per creare contenuti non retribuiti a partire dal loro lavoro, anche gli attori in sciopero sono preoccupati dall’utilizzo indiscriminato della loro immagine, voce o performance senza consenso o compenso.

Una “minaccia reale e immediata per il lavoro dei nostri membri” che sembra fantascienza ma non lo è – si pensi al giovane Mark Hamill nelle serie di Star Wars Disney, o all’uso delle IA come narratrici di audiolibri . SAG-AFTRA ha illustrato la propria intenzione di “contrattare protezioni contro l’uso improprio di voci e performance, e garantire il consenso per l’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale”.

Una clausola che il contratto con gli studios, chiedono i sindacati, deve assolutamente contemplare: il diritto all’uso della propria immagine è intoccabile. A difenderlo sono le star. Per adesso.