Il doppio standard del pudore. Il caso della pubblicità di Calvin Klein, tra FKA twigs e Jeremy Allen White

Lei “usata” come stereotipo dell’oggetto sessuale nonostante abbia scelto di farsi fotografare seminuda, lui accettato e glorificato. Di mezzo c’è sempre un sottile, irrisolto pregiudizio

Questo articolo Il doppio standard del pudore  è stato pubblicato per la prima volta nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Corpo Libero. Una riflessione sulla maniera di guardare ai corpi e su come vengono percepiti ancora oggi, tra icone, spettacolo e pubblicità. 

Doppio standard. C’è, esiste, è reale. Una definizione che hanno usato tutti, ma proprio tutti, nel caso FKA twigs vs Jeremy Allen White. Che poi, in verità, il diverbio non è tra la cantante e il protagonista di The Bear. Bensì su cosa i loro corpi, rappresentano per e nella società, commerciale o meno che sia. Entrambi chiamati a ricoprire il ruolo di pubblicità viventi per un famoso brand di intimo e abbigliamento, Calvin Klein, la ricezione ricevuta ha subito una valutazione diametralmente opposta.

Lei, longilinea e seminuda, ha una camicia che, al contrario di quanto detto, lascia moltissimo all’immaginazione. Jeremy Allen White, invece, è coperto solo da un boxer – bianco, per di più – che se non fa proprio intravedere, rende comunque l’idea di quanto si celi dietro quel pezzo di stoffa. E accettato. Soprattutto accettato. Perché è di questo, di una concessione, che alla fine si parla.

A quasi un anno di distanza dalla promozione con FKA twigs, quando i cartelloni con l’interprete di The Iron Claw svettano nelle metropoli, è la ricezione contrastante che riporta in auge il dibattito sui corpi e che al giudizio antitetico tra la foto della donna e lo spot dell’uomo deve applicare il suffisso “pre”.

L’immagine negata

Pregiudizio che ha trasformato lo scatto di FKA twigs in “sfruttamento del corpo” e la donna in un “oggetto sessuale”. Un’immagine che, però, non è stata sottratta contro la volontà dell’artista, fatta circolare senza approvazione e che aspetta i detentori della censura per poterla salvare. Nel processo di scelta e diffusione di materiale promozionale, qualsiasi foto passa per il vaglio di uffici stampa, curatori, stylist e, in definitiva, di chi è il soggetto. Non solo la pubblicità della musicista era stata accettata, ma accordata dalla stessa.

 

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Un post condiviso da FKA twigs (@fkatwigs)

“Non vedo lo stereotipo dell’oggetto sessuale con cui mi hanno etichettato”, scrive in un post FKA twigs. “Vedo una donna nera bella e forte il cui incredibile corpo ha superato più dolori di quanti possiate immaginare. Alla luce della revisione di altre campagne passate e presenti di questa natura, non posso fare a meno di pensare che qui ci siano due pesi e due misure. Sono orgogliosa della mia fisicità e ritengo che l’arte che creo sia all’altezza di donne come Josephine Baker, Eartha Kitt e Grace Jones che hanno abbattuto le barriere di ciò che sembra essere l’emancipazione e l’imbrigliamento di una sensualità unica”.

Due pesi e due misure. Quante volte ci sono stati e quante altre ne arriveranno. È proprio vero che l’”oggetto sessuale” è negli occhi di chi guarda. Ferma, immobile, eppure potentissima nella sua tonicità statuaria, FKA twigs è bella come potrebbe esserlo in qualsiasi altra foto che la ritrae e, anche nella più vestita, potrebbe venir additata per indecenza. Guardate, lascia scoperta una caviglia, che vergogna signora mia. E che bravo ragazzo il buon Jeremy.

Anche il linguaggio dei media sottolinea questa lontananza. Un semplice flash cattura la fierezza della silhouette della cantante, ben meno provocatoria di uno spot che isola i dettagli delle grazie di Jeremy Allen White, seguito e assecondato mentre sente l’irrefrenabile impulso di togliersi la maglietta scendendo una scala. Se l’occhio dell’obiettivo di FKA twigs è distante, la camera da presa dell’attore lo inchioda fino a dissezionarlo col montaggio, sempre più vicino, sempre più dentro, sempre più a tu per tu con “l’anima” dell’attore. Se per anima avete capito cosa si intende.

Continua il doppio standard: Elodie “ripresa” da Gino Paoli

Allora perché Jeremy Allen White sì e FKA twigs no? O, più semplicemente, perché il doppio standard? Un caso isolato non è. Un’altra cantante, Elodie, è stata ripresa con tanto di paternalismo da parte di Gino Paoli, che in un moto di nostalgia reazionaria ci ricorda che “ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo”. Eppure nessuno si è espresso con altrettanto disappunto quando, nello stesso momento in cui Elodie pubblicava una foto senza veli, Lenny Kravitz sbatteva a ritmo di rock le sue natiche nel videoclip del singolo TK421.

La realtà è che attaccarsi al pudore e alla decenza è solo un altro modo per esercitare un controllo che col desiderio non ha nulla a che fare, se non la furia onnipotente di volerlo spegnere. Che nella vergogna scagliata contro le donne, artiste e non solo, si applica una sorta di disciplina e punizione foucaultiana, per una regolamentazione sociale e politica in cui le persone vanno rese docili, isolate dal mondo esterno e soggiogate da un potere che, in questo caso, è tutto maschile. La disciplina viene dal doversi mostrare sempre composta, coperta. La punizione è la gogna pubblica, tu sgualdrina tentatrice.

La repressione di qualsiasi desiderio viene esercitata da chi ha paura e vuole perciò comandare su quei corpi – liberi, indipendenti, appartenenti a donne che decidono di spogliarli. Ma è tempo di bodily autonomy (dall’aborto alla fecondazione assistita al mestiere di sex worker), anche nel volersi denudare. Il che significa persino lottare per una propria foto. Perché oggi è uno scatto, domani potrebbe essere molto altro.