Doc 3: dieci cose che abbiamo imparato dalle tre stagioni del medical drama più amato d’Italia. E non avremmo voluto

Andrea Fanti è un serial killer. Doc è la causa di almeno metà del nostro debito pubblico. La Lombardia, il Moroder di Catania Tony Brundo, Pierdante Piccioni l'easter egg, quei maschi in pericolo, l'anarchia al potere a medicina interna, la legge che non è uguale per tutti. Storia di un medico che è tanto, troppo italiano. Con qualche spoiler. Forse.

Siamo tutti orfani di Doc 3. Sedici puntate (potrebbero essere le ultime, almeno per come le conosciamo, ma la verità è che sogniamo un team up tra Doc, Mare Fuori, Gli occhi del cuore e Medical Dimension con Andrea Fanti e Giorgio Corelli che vanno ad esercitare nel carcere minorile più sexy d’Italia) e non è cambiato nulla, se non l’organigramma dell’ospedale, il solito paio di tentati omicidi e almeno uno sperato, un terremoto e un ultimo giro di giostra che non risolve nulla o quasi. In fondo il finale ci potrebbe far sognare un on the road melodrammatico con protagonisti Sara Lazzaro e Luca Argentero, sul modello di Ella & John di Paolo Virzì. L’esordio di Lux Vide al cinema.

Ma bando alle ciance. Ecco le dieci cose che abbiamo imparato da Doc. E che non dimenticheremo mai, pena morte certa. Anche a causa delle diagnosi dell’Ambrosiano, ovvio.

Avvertenza: qui e là troverete degli spoiler. Ma è più probabile che non avendo visto quelle puntate, non capirete la battuta. Senza perdervi molto.

Giulia Giordano e Andrea Fanti, Matilde Gioli e Luca Argentero, In uno dei frequenti flashback di questa terza stagione di Doc

Giulia Giordano e Andrea Fanti, Matilde Gioli e Luca Argentero, In uno dei frequenti flashback di questa terza stagione di Doc

  1. Non conviene essere moglie, amante, amica, figlia di Doc.
    Andrea Fanti è bello, simpatico, un medico meraviglioso, un maestro, un apostolo. Ma se sei una donna e anche solo lavori con lui, pure se non hai con lui relazioni particolarmente strette, prima o poi una tragedia ti colpirà.
    Nell’ordine: sua figlia in una vacanza con lui ha ucciso (inavvertitatemente) il fratellino, la moglie ha subito traversie sul lavoro, un tumore e una recidiva, due divorzi (lui compreso, ovvio), la perdita del figlioletto l’unica volta che gliel’ha lasciato.
    L’amante che sarebbe primario da anni senza di lui, è rimasta assistente a vita, in un rapporto professionale e emotivo tossico mentre accanto a lei i suoi nuovi compagni morivano, compivano reati e poi redenti venivano snobbati. Che dire di Alba (Silvia Mazzieri, torna, ‘sto reparto aspietta a ‘tte), specializzanda, l’unica che ha uno stacco della camera durante il suo monologo un po’ cringe sulla stronza (la morte)? Covid, morta stecchita. La figlia, laureata, capita l’antifona è fuggita. A Verona. Elisa Russo (Simona Tabasco) che pure saggiamente gli ha dato sempre poca confidenza, in Etiopia.
  2. La legge è uguale per tutti, ma non per Doc.
    In ogni stagione Andrea Fanti compie un reato o almeno una sequela di omissioni al regolamento che farebbero radiare chiunque. Lui però è lì per abbassare la nostra asticella della moralità. Ci mette 16 puntate, ma regolarmente quando si scopre la verità, di solito è che la colpa di cui si è macchiato è stata commessa per coprire o aiutare nobilmente qualcun altro, meglio se un parente (c’è qualcosa di più meravigliosamente italiano?), tu sei lì disposto ad assolverlo. E così il suo ospedale e peggio ancora la giustizia italiana, che ne consente anche promozioni irrituali nonostante abbia pure una patologia grave legata alla memoria. Di solito poi succede qualcos’altro, di meno grave, che ce lo fa dimenticare (tipo una giovane che abusa del titolo e della professione medica, non laureata: ovviamente pure lei se la caverà con un buffetto, sia chiaro). Perché Doc è contagioso, il criminale non paga.
    Va pure detto che in Lombardia se compi reati nella sanità, fai carriera. Quindi forse è solo neorealismo.
    La nostra preoccupazione è tutta per l’escalation evidente di questo trend. Almeno nella seconda stagione la sua attitudine criminale, ma con stile, era costato un morto, forse due. Qui un compromesso, nel mondo di Doc, deve aver provocato una strage di anziani che neanche il Covid. Alla quarta stagione metterà direttamente una bomba al Policlinico Ambrosiano. Alla quinta diventerà Thanos.
  1. Nel mondo di Doc succedono cose bizzarre.
    Chiamano principe bastardo uno che fa della correttezza e dell’osservanza scrupolosa di regole e protocolli le sue coordinate professionali, unite alla giusta distanza dal paziente che, come sappiamo, proprio per la sua condizione di fragilità fisica è psicologicamente instabile, anche se mai quanto un loro parente.
    Chiamano, invece, affettuosamente Doc uno che opera con mezzi alla McGyver una primipara attempata, sgonfiandole un pneumotorace iperteso con una penna, per una stagione lo fanno esercitare senza che ne abbia diritto e gli fanno decidere della vita e della morte di chiunque, con tecniche di manipolazione mentale verso i più giovani inquietanti. Se qualcuno contesta questo pericolo ambulante, questa bomba a orologeria, viene deriso, emarginato, odiato. L’unico in tre stagioni che ha mantenuto un sano scetticismo, Lazzarini, è morto gonfio. Cesconi, che pure lo stima, l’ha contestato nella terzultima stagione. Inutile dirvi che fine farà in Doc 4.
  2. I rivali in amore di Doc sono destinati alla sfiga e al decadimento.
    Il secondo marito di Agnese inizia la serie che è spudoratamente figo (fidatevi, Simone Gandolfo oltre a essere un ottimo attore, è davvero spudoratamente figo, oltre che bravo, lo so perché vive vicino all’ex nido di mio figlio). Alla terza stagione smettono di pettinarlo, lo vestono perché sembri avere dieci chili in più, si rifiutano di truccarlo. E lo fanno divorziare, un attimo prima che possa diventare vedovo. Allegria.
    Damiano Cesconi (Marco Rossetti) si tiene meglio, ma viene tradito e quasi mandato al gabbio dal padre, insultato ripetutamente dal fratello, schifato da Giulia Giordano (una Matilde Gioli irresistibile) a cui ha portato l’acqua con le orecchie (mai quanto Lazzarini, che infatti è deceduto male), sottovalutato come medico nonostante sia l’unico a esercitare la professione con talento, abnegazione, continuità di lavoro e puntualità. E senza un’ingiustificata enfasi.
    Certo non sbaglia dodici diagnosi a puntata e non scrive sintomi sulla lavagna, per questo lo trattano come un paramedico. Ah, l’unica donna con cui poteva mettere su famiglia, ovviamente muore.
    Marco Sardoni ad Agnese pensa solo, in giovane età e quasi per sbaglio: gli basta per perdere un primariato che meritava, rimanere amico di uno che comunque lo tratta come un soprammobile, infine diventare uno squallido villain nella seconda stagione. Pure succube di una compagna insopportabile.
    Il prof di Andrea e di Agnese, Bramante, viene già laido da casa. Ci prova con Agnese (Sara Lazzaro, come non capirlo) persino sul letto di dolore, poi diventa un politico corrotto e corruttore, e ovviamente finirà male a un passo dalle elezioni. Con tanto di ischemia pochi secondi prima a salvare Doc dall’ennesima giustissima denuncia, questa volta per aggressione.
    Ad Agnese, ormai, nessuno la guarda più, temendo di essere colpito da un fulmine. Molti maschi neanche la salutano. Pure alcune donne, non si sa mai.
    Si sospetta che Edoardo Valenti (l’eccellente attore Gaetano Bruno), nella serie un cardiochirurgo bravissimo e cocainomane abbia cominciato a far uso di sostanze proprio per sopire l’attrazione per la direttrice sanitaria. Per poi sfogarla sulla di lei figlia. Chiamalo scemo.
  3. Il Policlinico Ambrosiano non ha regole, è l’anarchia al potere.
    Non sembra avere routine se non il giro visite di inizio giornata che in realtà è solo un pretesto per fare due chiacchiere con i nuovi amici chiamati pazienti. Che arrivano con un’unghia incarnita e regolarmente si scoprono malati terminali. Va bene che siamo in Lombardia, dove la sanità pubblica e privata è un pretesto per operazioni ad arti sani, anziani sterminati in RSA che fin dai tempi di Mario Chiesa sono stati il centro di gravità permanente di una criminalità selvaggia, ma all’Ambrosiano la direttrice sanitaria permette a uno psicologo di far girare una psicopatica indisturbata, rischiando di farle uccidere almeno un paio di persone, almeno una volta a puntata un medico fa una cazzata così grossa che un altro ospedale chiuderebbe per risarcimenti milionari, c’è chi esercita senza laurea, chi è specializzando dal 1994, chi torna a essere primario per acclamazione popolare, o lo è stato per designazione dinastica di un capriccioso predecessore. Troppo persino per la Lombardia, diamine.
  4. Uno dei segreti di Doc-Nelle tue mani è la colonna sonora.
    Tony Brundo, uomo che compone sinfonie ipnotiche e sigle irresistibili. Per me è il Moroder catanese, lo affermo senza ironia, è l’unico musicista per la tv che riesce a comporre due main theme che andrebbero bene per un medical drama, una spy story, un action movie e Il pranzo è servito. E in fondo Doc è tutto questo contemporaneamente, con un pizzico di E.R..
    Inoltre provate a togliervi dalla testa quella sequenza di note. Impossibile, hanno un tempo di permanenza nella tua memoria pari alle sigle italiane degli anime giapponesi della nostra infanzia. Ovviamente in tutti questi capolavori fingiamo di dimenticare il trap che Fanti canta alla figlia.
    Un momento che riscrive il concetto di Fremdschämen.
  1. Doc-Nelle tue mani non è una serie razzista, ha tanti amici medici extracomunitari.
    Se vieni da un altro continente stai sicuro che i tuoi genitori ti hanno combinato un matrimonio con un conterraneo. Che tu sia cinese o etiope, la mattina sai che un marito o una moglie sconosciuti cominceranno a correre per venirti a sposare. Spinti da chi ti ha messo al mondo.
    Altro che leone e gazzella, questi se ti distrai ti infilano un anello al dito con la complicità di mamma e papà.
    Questi sventurati medici di talento destinati a questa tradizione sempre uguale cercano in Italia la libertà di amare chi vogliono. Peccato che attorno a loro i colleghi italiani vedano morire futuri e future consorti come mosche. In Doc non c’è stato neanche un matrimonio. Un po’ perché i turni sono massacranti e non avrebbero tempo, un po’ perché si muore prima.
    Fatto sta che gli specializzandi extra UE dopo qualche puntata cominciano a pensare che i loro genitori in fondo non hanno poi così torto.
  2. Tutto il mondo è paese.
    Nel Nord Italia di Doc c’è solo una università e tendenzialmente ha funzionato per 5-10 anni e in quel frangente di tempo tutti i personaggi della serie hanno frequentato, si sono laureati, conosciuti e costruito legami così saldi che di solito anche quando si rivedono dopo 30 anni si ricordano persino il colore preferito dell’altro. Di solito hanno pure un segreto in comune. Spesso hanno almeno limonato duro tra loro. Così gli specializzandi, al massimo tra loro c’è mezzo grado di separazione.
    Risultato: se menti su qualsiasi cosa, esce fuori uno che di te sa vita, morte e miracoli. Io di compagni di università me ne ricordo tre. E una poi è diventata sindaca di Roma, quindi era difficile dimenticarsela.
  3. Pierdante Piccioni supereroe.
    Il vero Doc (che ha una storia molto diversa: ha sì avuto un’amnesia che gli ha bruciato 12 anni di ricordi, ma per un incidente automobilistico, non per uno sparo in testa, per dirne una) è l’easter egg umano più irresistibile di sempre. Dopo un cameo in cui era nel consiglio del Policlinico che voleva impedire la ricerca della dottoressa Giordano – ma dopo il voto di se stesso, ovvero Luca Argentero, le vota a favore, in un inception medical meraviglioso -, ora prende il posto di Bramante come assessore alla Sanità. “Hanno scelto Piccioni” non è la battuta di una sceneggiatura, è una speranza. Ma sperare che in Lombardia facciano una sceltà saggia sulla sanità è come chiedere ad Allegri di fare calcio spettacolo: contronatura.
  4. Doc e il debito pubblico.
    Se dobbiamo individuare la causa del dissesto finanziario sanitario lombardo (e forse pure italiano), la colpa è di Andrea Fanti. Lasciamo perdere tutte le cure e i giorni di malattia per la sua amnesia, il modo disinvolto e spesso casuale di chiedere esami clinici costosissimi, la sua tendenza a far occupare un posto letto almeno quanto Craxi una stanza al Raphael, ora con un video social virale toglie le benzodiazepine alle RSA facendo opera meritoria ma condannandole al fallimento.
    In più bullizza chiunque provi a razionalizzare i costi. Con scommesse demenziali che portano l’ospedale ad arredare il terrazzo come fosse un bar di un albergo e decisioni che a momenti uccidono la sua miglior alleata, come l’orto sul tetto.
    Non contento si prende almeno 6-9 mesi (scusa Agnese per il cinismo) di aspettativa. E ora sognamo un Doc 4 con Spollon (che diventa strutturato dopo tre stagioni, a Lazzarini erano bastate due puntate) che fa l’Argentero. Frustato dalla dottoressa Giordano. Che porterà professionalità nel reparto, portandolo al collasso emotivo ovviamente, abituato com’è all’anarchia. Un luogo in cui è tutto così poco organizzato che la caposala non è andata dallo psicologo. Se l’è proprio messo in casa. Per non impazzire.
Pierpaolo Spollon, in Doc 3 è lo specializzando Riccardo Bonvegna

Pierpaolo Spollon, in Doc 3 è lo specializzando Riccardo Bonvegna

P.S.: chi ha scritto questo decalogo è un fan appassionato di un medical drama interpretato bene, scritto meglio, diretto meravigliosamente. E questa è una lettera d’amore e una disperata richiesta di avere almeno altre tre stagioni. L’ironia, in fondo, è la più alta e sensuale forma di corteggiamento.