Vittoria Puccini: “UNITA per prendere in mano il futuro del lavoro nello spettacolo”

L'attrice, presto al cinema nel nuovo film di Daniele Luchetti, racconta a THR Roma il suo impegno con UNITA, l’Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo, di cui è presidente. "Uniti la voce diventa più forte ed è impossibile non ascoltarla, servono riforme ad hoc per il nostro settore"

In Italia attrici e attori del cineaudiovisivo non hanno il contratto collettivo nazionale del lavoro. Unico caso in Europa, le troupe, i tecnici, le maestranze, gli stuntmen lavorano senza regole condivise e specifiche tutele. Loro lo sanno bene, tanto che negli ultimi anni attraverso associazioni e iniziative, “una coscienza di categoria” si è creata e rafforzata. A spiegarlo a THR Roma è Vittoria Puccini, presto al cinema nel nuovo film di Daniele Luchetti, Confidenza, presidente di UNITA, l’Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo.

Quando tre anni fa la pandemia “ha messo in uno stato di indigenza lavoratori e lavoratrici dello spettacolo c’è stato come un risveglio di coscienza”, racconta ricordando come UNITA da pagina Facebook si è trasformata in un’associazione da 1600 iscritti. “Uniti la voce diventa più forte ed è impossibile non ascoltarla”, dice durante gli Stati Generali dello Spettacolo, due giorni di dibattito a Roma per parlare dei diritti dei lavoratori dello spettacolo. “Vogliamo prendere in mano il nostro futuro contribuendo a scrivere la regolamentazione della nostra professione, soprattutto a tutela dei lavoratori più fragili”.

Se in altri settori professionali la pandemia sembra ormai lontana, nel vostro è un tema ancora molto sentito. Perché?

La pandemia ha innescato un risveglio delle coscienze. Perché è stata un amplificatore di molti problemi che esistevano già nel nostro mondo del lavoro. Problemi che hanno riguardato soprattutto lo spettacolo dal vivo che è rimasto fermo per molto tempo. Ci ha fatto davvero sentire la mancanza di un sistema di welfare pensato e studiato sulle peculiarità della nostra professione e che quindi avrebbe potuto contrastare gli effetti di quelle chiusure. Molti attori sono stati costretti anche a cambiare lavoro. La pandemia ha rappresentato la nascita di una coscienza di categoria più consapevole, che oggi con UNITA continuiamo a rafforzare.

Perché non era successo prima?

Il nostro ambiente è sempre stato molto individualista. Dobbiamo scardinare inoltre il pregiudizio per cui l’attore è un privilegiato e non fa un “vero lavoro”. Siamo lavoratori come tutti gli altri, con le specificità del nostro mestiere. Questa coscienza di categoria che si è formata ha anche creato una rete di sostegno per cui chi ha maggiore visibilità si è messo a disposizione degli attori più fragili. Tutte le riforme che stiamo contribuendo a scrivere sono per aiutare i lavoratori più deboli. Tra cui giovani, che per la prima volta si affacciano al mondo del lavoro nello spettacolo e hanno davanti a sé una carriera da costruire.

Com’è nata UNITA?

Da una chat. Nel 2019 ero sul set e con altri attori abbiamo vissuto gli scioperi di quella estate, per i minimi contrattuali per le troupe. “Ma è possibile che gli attori non abbiamo una loro voce per contribuire a tutti quei tavoli dove si prendono decisioni che regolano la nostra professione?”, ci siamo chiesti. Abbiamo voluto creare una associazione per unire le voci degli interpreti. E che fosse anche una casa per loro. Affinché gli interpreti non si sentano più da soli ma parte di un insieme che li accoglie e che lavora per riconoscere e tutelare i loro diritti.

Che cosa chiedete alle istituzioni?

Vogliamo prendere in mano il nostro futuro e occuparci di come è regolamentata la nostra professione, di quelli che possono essere gli strumenti pensati ad hoc per noi. Perché il nostro è un lavoro. Produciamo non solo un grande valore economico ma soprattutto culturale. La cultura è un bene primario, cui non si può rinunciare. Cinema, teatro, danza, spettacoli dal vivo, musica. Non sono superficiali, sono fondamentali, per questo è importante che lo Stato ci investa molto. Nutrono la nostra anima a livello individuale ma soprattutto costruiscono un’identità collettiva.

Quali sono gli strumenti di welfare specifici della professione?

L’indennità di discontinuità per esempio è un pilastro fondamentale: riconosce la specificità della nostra professione. Anche quando, da attore, non ho un contratto, io sto lavorando, sto studiando, sto preparando un ruolo. È giusto che questo periodo di formazione sia riconosciuto. E non solo in termini economici ma anche previdenziali. Non è facile per un attore riuscire ad avere il numero di giornate necessarie per ottenere l’anno contributivo. Un altro passo importante che è stato fatto è l’apertura del tavolo di trattativa tra la delegazione sindacale Slc-Cgil, Cisl e Uil e le associazioni dei produttori Anica, Apa e Ape per trovare delle norme con la finalità di regolare il lavoro degli interpreti dell’audiovisivo. Quello che chiediamo è un contratto collettivo nazionale per il nostro comparto.

Oggi nel settore ci si sente più tutelati rispetto al passato?

Se riusciremo a fare il nostro lavoro bene, sì. Come associazione noi garantiamo anche questo. Quando un associato ci scrive perché ha un problema lo aiutiamo per esempio con una prima consulenza legale gratuita. Andiamo anche nelle scuole, siamo già andati alla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté e andremo presto al Centro Sperimentale di Cinematografia per trasmettere alle nuove generazioni queste consapevolezze.