Rebecca Antonaci, dalle notti felliniane all’allegoria dantesca di Costanzo: “Sì, mi sono ispirata a Giulietta Masina”

La giovane protagonista di Finalmente l’alba racconta il percorso della sua Mimosa, l’esperienza del set a Cinecittà, una “giornata particolare con Lily James” e il primo impatto con il pubblico. L'intervista di THR Roma

Vent’anni, o poco meno, e già una presenza che incolla allo schermo, Rebecca Antonaci parla poco ma sceglie ogni parola con cura, soprattutto quando racconta la sua prima grande esperienza al cinema, con Finalmente l’alba di Saverio Costanzo.

Quando il film è stato presentato alla Mostra di Venezia, lo scorso settembre, “c’era gente che mi chiamava per una foto, per un autografo. È stato molto strano, non mi era mai successo, diverso da tutto ciò che ho sempre vissuto”, ricorda Antonaci. The Hollywood Reporter Roma l’aveva già notata allora, con quel suo sguardo liquido, curioso e attento, più eloquente delle parole.

Finalmente l’alba, la selva oscura di Mimosa

Rebecca Antonaci riesce a eclissare un’attrice hollywoodiana come Lily James (Josephine nel film), nel racconto di una notte romana in cui, come in un percorso dantesco, la sua Mimosa attraversa le anime dell’inferno e arriva all’alba con una nuova consapevolezza.

“Mimosa in realtà è sempre la stessa sia dall’inizio alla fine”, afferma. “Nonostante in questa notte conosca divi del cinema e partecipi vicende stravaganti, lei comunque non si lascia influenzare ma rimane se stessa dall’inizio alla fine. Non ha paura di mostrare la sua vera natura”.

Finalmente l’alba e il simbolismo dello sguardo

“L’unica cosa che cambia è il modo in cui Mimosa guarda se stessa. Infatti c’è un forte simbolismo”, prosegue. “Mimosa fino alla fine del film non riesce mai a guardarsi allo specchio, ha proprio difficoltà a farlo perché non accetta la sua immagine. Non perché non si piaccia ma perché semplicemente per lei non è rilevante che lei sia bella o che sia brutta perché sa quello che deve fare, deve sposare un uomo che non ama e quella è la sua vita. Alla fine, attraverso la notte appena vissuta, riesce invece a guardarsi allo specchio ed è quel passo che le fa prendere consapevolezza di sé. E del fatto che lei può decidere per se stessa”.

Quello sguardo finale arriva dopo un intenso scontro con la Josephine di Lily James. Una scena che Antonaci ricorda particolarmente intensa anche sul set: “È stata una giornata particolare, durata tantissimo. Abbiamo passato un giorno intero solo su quell’inquadratura, su quello sguardo tra noi. E non so cosa è successo tra me e Lily però c’è proprio un’atmosfera densa. Me l’ha detto anche Saverio (Costanzo, ndr) che in quel momento c’era proprio elettricità. Perché forse eravamo entrambe veramente noi stesse in quel momento. Non solo i personaggi, ma anche noi libere da ogni maschera”.

Rebecca Antonaci. Foto di Youness Taouil

Rebecca Antonaci. Foto di Youness Taouil

Mimosa, Hollywood e l’attrazione per l’autenticità

Nel racconto di ossessioni e di desideri proiettati uno sull’altro che è Finalmente l’alba, Mimosa viene quindi trascinata in una notte della Hollywood sul Tevere per capriccio della diva Josephine che in lei vede qualcosa che non riesce a essere e di cui si vuole appropriare.

L’attrazione che sia Josephine sia Sean (Joe Keery) provano nei suoi confronti “non è fisica e non è mai volgare. È l’attrazione per una persona che nonostante tutto rimane sempre se stessa. In un certo senso è attrazione per l’autenticità”, afferma Antonaci. Quella che gli attori hollywoodiani hanno perso o non hanno mai avuto. Mimosa non la perde nemmeno quando si “spoglia” dei suoi semplici abiti, abbandonandoli a Cinecittà, per vivere la notte in uno splendido vestito rosso. Non la perde nemmeno quando si libera dalla gabbia della vita vissuta fino a quel momento, come la leonessa, fiera dantesca, che l’accompagna lungo tutto il film come una chiara allegoria della sua forza femminile.

La visione di Saverio Costanzo

Una forza che, secondo Antonaci, un regista come Saverio Costanzo ha particolare abilità nel rappresentare: “Saverio ha una grande sensibilità. Lo dice lui stesso che ama scrivere con e di personaggi femminili. A livello emotivo sente di avere molto più spazio su cui muoversi e sul set è riuscito a creare un’atmosfera delicata e sensibile, fino al punto che non si percepiva un uomo inteso come maschio, dietro la macchina da presa. Ha creato uno spazio protetto”.

Nel suo viaggio la protagonista non è sola, ha una guida, a metà fra un Virgilio e un angelo custode interpretato da Willem Dafoe. “Una figura paterna che fa da traduttore a Mimosa, che non parla inglese, ma che sa anche lasciarla sola nel momento peggiore, perché sa che l’aiuterà a crescere”.

Cabiria e i ricordi felliniani

Mimosa perciò, in un certo senso resta sola come Cabiria nelle sue notti romane. E il riferimento felliniano non è un caso. “Seguendo le indicazioni del regista ho fatto un lavoro di pulizia per interpretare Mimosa, perché lei è una ragazza che parla soltanto attraverso gli occhi. Ho cercato di eliminare ogni espressione superflua e mi sono ispirata a Giulietta Masina. In realtà questa è una cosa che mi ha detto Saverio, che al provino gli ho ricordato Giulietta Masina, per ‘questa faccia di gomma’ e quindi ho rivisto diversi film per capire un attimo i suoi comportamenti e le sue espressioni”.

Da Fellini nasce anche il riferimento al caso di Wilma Montesi, con l’indimenticabile finale de La dolce vita, quel “dialogo fra Marcello Mastroianni e la ragazza vestita di bianco che rappresenta l’innocenza perduta dell’Italia. Ho riguardato anche questo film e non avevo mai fatto caso a questo particolare”.

Una scommessa oltreoceano

I riferimenti felliniani non possono che essere una carta in più da giocare per entrare nel panorama e nel mercato statunitense. Dopo l’anteprima mondiale a Venezia, Finalmente l’alba è stato presentato al Telluride Film Festival in Colorado dove, ricorda Antonaci, “c’è stata una grande attenzione da parte del pubblico. Forse perché gli americani sono ancora affascinati da questo cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, queste atmosfere felliniane del dopoguerra. Finalmente l’alba dovrebbe comunque arrivare in sala anche negli Stati Uniti e spero che al pubblico arrivi il suo messaggio forte e universale, che non appartiene solo alla nostra cultura”.