Fremont, un altro bianco e nero a colorarci il cuore. Amore, karaoke e una Little Kabul negli USA

Il film di Babak Jalali e scritto da Carolina Cavalli, regista dell'ottimo Amanda (di cui Jalali era il montatore), come l'opera prima di Paola Cortellesi sceglie di rinunciare al colore. E in questo concorso della 18esima Festa del Cinema di Roma che racconta amore e dolore con poesia, funziona

Festa del Cinema di Roma, Teatro Studio Gianni Borgna. Parte Fremont e credi di essere diventato daltonico. Dopo C’è ancora domani, in pieno 2023, e nello stesso concorso, un altro film in bianco e nero. Non che non ce ne siano nell’attuale produzione internazionale, ma incontrarne due di seguito, nella stessa rassegna e in fondo con la stessa volontà di raccontare una storia di autodeterminazione femminile in comunità che non vogliono neanche sentirne parlare (quella romana dell’immediato dopoguerra per Paola Cortellesi, quella afghano-californiana dei giorni nostri per Babak Jalali, regista, cosceneggiatore e montatore di Fremont), è per lo meno bizzarro.

Però funziona, alla grande. Se nel film della regista italiana, però, il bianco e nero è quasi una trovata espressionista per spingere sulle emozioni, per ondeggiare continuamente sotto e sopra le righe e seminare indizi narrativi e di originalità di linguaggio, nel caso dell’opera di Jalali – già autore dell’ottimo Radio Dreams e che ha scritto il film in concorso alla Festa del Cinema di Roma con Carolina Cavalli, cineasta che ha firmato l’eccellente Amanda, montato da Jalali stesso – l’intenzione minimalista nella costruzione dell’immagine e della storia è evidente, per valorizzare una protagonista che ha un carisma naturale proprio nel comprimere le emozioni dietro un apparente atarassia.

Fremont, la trama

Fremont è la storia di Donya, donna sola che è dovuta fuggire da Kabul insieme agli americani, perché ne era diventata una delle traduttrici. È finita nel ghetto popolare della sua comunità, Fremont appunto, nella Bay Area, da molti chiamata Little Kabul, ma pur di vedere altre facce lavora in una fabbrica di biscotti della fortuna a San Francisco, prima come impacchettatrice e poi come ideatrice dei pensieri scritti sui bigliettini al loro interno. Un lavoro che le permetterà di tirar fuori (poche) parole che sembravano strozzate dentro di lei dal dolore, dal senso di colpa tipico dei sopravvissuti, dalla rabbia sommessa per una vita vissuta su un letto singolo dentro una piccola stanza che ne certifica crudelmente gli orizzonti sentimentali.

Un primo piano della protagonista di Fremont Anaita Wali Zada

Un primo piano della protagonista di Fremont Anaita Wali Zada

Il cast del film di Babak Jalali

A interpretarla è Anaita Wali Zada, lineamenti dolci e sguardo profondo, capace di incarnare nei suoi silenzi sia la volontà di apparire anonima, sorta di autopunizione per essersi salvata, sia il desiderio di vita inevitabile di una giovane donna. Considera stupido sperare di amare e divertirsi, mentre parenti e amici, in Afghanistan rischiano la vita. Così galleggia tra automatismi dolenti – l’insonnia, il vicino di casa saggio e che le vuole bene come un fratello, la famiglia di Molly con Suleyman che le rimprovera muto e un po’ vigliacco l’alleanza con gli occupanti, il lavoro – e il tentativo di uscire fuori dalla sopravvivenza per abbracciare una nuova esistenza, finalmente fuori da ogni discriminazione, in quanto donna e straniera e presunta traditrice.

Fremont

Commento breve Una storia sui colori dell'amore e del dolore in bianco e nero
Data di uscita:
Cast: Anaita Wali Zada, Hilda Schmelling, Gregg Turkington, Jeremy White, Avis See-tho, Siddique Ahmed, Taban Ibraz, Timur Nusratty, Bettina Devin, Molly Noble
Regista: Babak Jalali
Sceneggiatori: Babak Jalali, Carolina Cavalli
Durata: 91'

Fremont, la recensione

Ci riesce, anche grazie a uno psicoterapeuta da cui vuole solo i sonniferi ma che gli offrirà una lettura ad alta voce di Zanna Bianca e con cui costruirà un percorso di introspezione inaspettato soprattutto nella sua reciprocità (Gregg Turkington è meraviglioso in un ruolo irresistibile). Ed è questo che rende Fremont un’opera profonda e piena di grazia, la capacità di coglierti di sorpresa nei dettagli, in un karaoke dedicato da una bravissima Hilda Schmelling a Diamond Day dell’inglese Vashti Bunyan (riscoperta negli ultimi anni dopo decenni di oblio, suoi pezzi sono finiti anche dentro le serie True Detective e Patriot) che commuove la protagonista immobile e piangente, così come nella reazione tardiva all’arroganza silenziosa del vicino di casa. Una pentola a pressione gentile, Donya, che sa smarcarsi pure da se stessa quando sembri abituarti a lei, che usa i biscotti della fortuna per cercarla davvero e che sa trasformare l’orrore di un dispetto nella bellezza di un sentimento esattamente come ha fatto fuggendo da Kabul.

La resilienza femminile in lei non è una difesa ma un contrattacco gentile, costruito su una scrittura delicata e per sottrazione (si vede la mano di Carolina Cavalli, in fondo Donya e la sua Amanda potrebbero essere amiche, con la solitudine che diventa ricerca paradossale di un sodale), su un linguaggio cinematografico essenziale, abbastanza statico, ma capace comunque di scuoterti con un gesto, un’espressione, una battuta. Quasi sempre da biscotto della fortuna.