Bong Joon-ho, gli ultimi sono e saranno sempre ultimi: torna in sala Cane che abbaia non morde

Già dal primo film l'autore coreano, vincitore del Premio Oscar per Parasite nel 2020, mostrava l'odio e la rabbia di una classe sociale precaria, in una società in cui ci si sente insignificanti e invisibili

Bong Joon-ho non è mai cambiato. E, in questo caso, è un grande merito. Il regista e sceneggiatore coreano, vincitore del Premio Oscar nel 2020 per il film Parasite, ha esordito nel 2000 con Cane che abbaia non morde – Barking Dogs Never Bite, che dimostra fin dal principio la strada che avrebbe seguito nella propria carriera. Se ci soffermiamo infatti a riflettere sui temi portanti della filmografia del cineasta, classe ’69, è subito evidente come le differenze sociali, la suddivisione in classi e il continuo aspirare a veder ribaltata la propria posizione sia uno degli argomenti fondamentali nel suo intero corpus poetico.

Una tematica rimasta costante, in qualsiasi sua variante. Che si tratti di un Bong Joon-ho in chiave thriller con il mastodontico Memories of Murder, suo secondo film del 2003, o con il fantascientifico Snowpiercer del 2013, nato da una coproduzione tra Corea del Sud e America.

Cane che abbaia non morde – Barking Dogs Never Bite ha in sé le radici che Joon-ho con cui poi avrebbe invaso il terreno poco fertile del cinema mondiale, per poi vederlo crescere e germogliare di pellicola in pellicola, storia dopo storia. I personaggi sono tanti, come accade spesso nella sua cinematografia. L’ambizione che li spinge è alta, come lo sguardo che punta ogni volta a qualcosa che sembra irraggiungibile, che aspira a quello scatto sociale tanto agognato dalle persone per sentirsi meglio nella comunità.

Una scena di Cane che abbaia non morde

Una scena di Cane che abbaia non morde

Nessuna salvezza, non per Bong Joon-ho

Non a caso Ko Yun-ju (Lee Sung-jae), protagonista del film, inizierà a prendersela con i cani, lui che da uomo e marito mansueto, nonché precario del mondo universitario, trova nella violenza sui più deboli l’unico sfogo. Con tanto di “I ricchi possono fare ciò che vogliono” riferendosi a una vicina con cane al guinzaglio e che anticipa il suo vendicarsi sul cucciolo, mostrando un’invidia sociale derivante da una stabilità che al lavoro non sembra arrivare e che crea una voragine invalicabile, in seguito, anche tra sé e la moglie incinta.

Un senso di insoddisfazione vissuto specularmente dalla comprimaria Park Hyun-nam (Bae Doo-na) che nella collettività si ritiene inutile, invisibile. Per questo, dopo aver visto al telegiornale una banchiera fermare un ladro e ricevere addirittura una medaglia, cercherà in ogni modo di acciuffare il presunto rapitore di cani che si aggira per il quartiere. Ma quanto c’è di onesto nelle sue gesta? Quando è un riflesso solamente del proprio egoismo? Uno sforzo vano, tra l’altro, visto il trattamento che le verrà riservato. E che, come nel resto delle pellicole di Bong Joon-ho, non è mai rassicurante.

È inevitabile, perciò, che a prescindere dai protagonisti, in un’opera dell’autore coreano sarà comunque il più debole a rimaner fregato. Lo abbiamo visto nel più famoso Parasite, in cui nonostante le strategie, l’impegno e la presunta furbizia, alla fine Kim Ki-taek (Song Kang-ho) sarà costretto a una prigionia forzata. E lo è per il senzatetto di Cane che abbaia non morde – Barking Dogs Never Bite che, prendendo dal peggio che la società ha da offrire – violenza, frustrazione, manie, anche certi feticismi – è l’unico che ne pagherà le conseguenze. Punito un po’ a ragione, un po’ perché è il solo che non si è preoccupato di farsi beccare. Per Bong Joon-ho il povero, il derelitto, l’ultimo della società, non potrà mai salvarsi. Non nel suo cinema. Men che meno nel suo cinema.