Carlo Mazzacurati, il ricordo dell’amico e collega Enzo Monteleone. “Quando eravamo ubriachi di cinema”

Il 22 gennaio del 2014 moriva il regista di Notte Italiana, Il Toro, Vesna va veloce, La lingua del santo, La giusta distanza e molti altri film e documentari che hanno saputo percorrere, con un cinema elegante e arguto, una poetica unica per profondità creativa e varietà di genere, dalla commedia al noir, nel panorama italiano. La sua rara umanità l'ha fatto amare da tutti, pubblico compreso. Ce lo racconta chi l'ha conosciuto più e meglio di altri

Enzo Monteleone, regista italiano, tra gli altri, di un gioiello come El Alamein, racconta i tempi padovani dell’amicizia e del sodalizio con Carlo Mazzacurati, cineasta unico il cui talento era secondo solo al suo garbo. Garbo che non gli impediva di indagare le oscurità dell’anima con malinconica lucidità.

Carlo morì il 22 gennaio del 2014 e 10 anni dopo, mentre la Casa del Cinema di Roma gli sta dedicando una retrospettiva meravigliosa con gli attori che più di altri lo hanno amato sui set dei suoi film, Enzo Monteleone consegna a The Hollywood Reporter Roma un bellissimo ricordo dei tempi di Padova.
Quando il cinema, per entrambi, era un sogno.

Carlo Mazzacurati durante la sua giovinezza nella Padova degli Anni 70

Carlo Mazzacurati durante la sua giovinezza nella Padova degli Anni 70

In principio era una saletta fumosa, un centinaio di posti, sedili di legno, nel centro storico di Padova.

Ufficialmente si chiamava Teatro Ruzante, in riviera dei Ponti Romani, accanto al liceo Tito Livio e alla facoltà di Scienza Politiche, quella di Toni Negri. Ma per tutti era il Cinema1, il cineclub di Piero Tortolina.

Lì, in era pre-homevideo, si passavano le serate a vedere e rivedere i film come dei carbonari, come membri di una setta che nella oscurità osavano riunirsi per vedere film di Tarkovskij o musical di Busby Berkley, Gunga Din o Hollywood Party o tutto Michelangelo Antonioni e tutto Bergman, Pietrangeli e Dziga Vertov mentre nei cinema “ufficiali” trionfavano Celentano e Pozzetto, l’ispettore Monnezza, Johnny Dorelli e Gloria Guida. Era la nostra resistenza.

Erano gli Anni 70. Lì ho conosciuto Carlo, nelle discussioni fuori dal cinema che duravano ore camminando nelle piazze vuote della città, sotto i portici che odoravano di nebbia e di muschio.

Si parlava tanto, di tutto, ma soprattutto di film e di libri. C’è stato l’innamoramento per gli scrittori americani: i racconti di Salinger, Chandler e Cain, John O’Hara, Truman Capote (Carlo adorava L’arpa d’erba), John Cheever. Poi gli outsider, titoli unici come Il biglietto stellato di Aksionov e Famose Patate di Joe Cottonwood o Il ballo dei pescicani di Pomini. E naturalmente i mitteleuropei, Roth e affini, e Hoffmansthal.

Poi arrivò la riscoperta degli autori veneti: Meneghello, Rigoni Stern, Zanzotto, Parisi.

La folgorazione del Ragazzo morto e le comete e Il prete bello che poi, anni dopo, avremmo fatto diventare film.

Questi erano i nostri Anni 70 a Padova. Era una città a misura di studenti, in piazza dei Signori ci si sedeva sui gradini della loggia della Gran Guardia perché non c’erano tavolini, solo un baretto all’angolo con via Dante senza sedie.

Ma non era semplice. Bastava avere i capelli lunghi e una R4 e si veniva fermati da polizia e carabinieri. E Carlo ha sempre avuto una R4 e i capelli lunghi. Sembrava il fratello più grosso di Bjorn Borg. Biondo, occhi azzurri, barba chiara sul mento, capelli sulle spalle. Tutti in famiglia, anche le sue tre sorelle e suo fratello, avevano quella bellezza un po’ svedese.

Non era semplice perché, forse qualcuno se l’è dimenticato, ma la bomba esplosa alla banca di Piazza Fontana a Milano era in una borsa comprata nella valigeria in piazza del Duomo a Padova e i responsabili erano i neofascisti padovani Freda e Ventura. E il primo omicidio delle BR avvenne nel giugno del 1974 nella sede MSI di via Zabarella dove morirono Mazzola e Giralucci. E poi La Rosa dei Venti e Potere Operaio, il caso 7 aprile e gli Autonomi. Insomma, non ci siamo fatti mancare niente.

Per qualche anno sono stato il direttore del Cinema1 con Carlo al mio fianco e Roberto Citran. Per anni ci siamo ubriacati di cinema, ci siamo divertiti ad organizzare serate e retrospettive: commedia all’ italiana, Blake Edwards, tutto Altman, tutto Jacques Tourner, film noir, Michalkov e Wenders, Herzog e Fassbinder. Poi è arrivato il momento di passare dal cinema visto al cinema fatto.

Si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna: è vero. Marina era l’opposto (fisicamente) di Carlo: uno scricciolo, ma era lei che teneva il forte. Insieme fondammo una società chiamata Travelling Movie. Aveva sede in un appartamento di via Domenico Campagnola al n.90 e la prima cosa che facemmo fu un foro nel muro che divideva due stanze per realizzare una saletta di proiezione. La seconda fu di comprare una moviola Prevost. Ne trovammo una a Bologna.

Facemmo i primi tentativi scrivendo un corto tratto da un racconto di Chandler che volevamo ambientare al Lido di Venezia, durante l’inverno.

Poi abbiamo buttato giù l’idea per un altro noir, questa volta padano. Protagonista un avvocaticchio di Bologna che si chiamava Otello Morsiani (che era il nome del signore che ci aveva venduto la moviola) e che doveva indagare su delle cose strane che succedevano in un paesino sul delta del Po. Si chiamava Bologna Game Over e poi sarebbe diventato Notte Italiana.

Carlo Mazzacurati ed Enzo Monteleone nel 1979 a Padova

Carlo Mazzacurati ed Enzo Monteleone nel 1979 a Padova

Alla fine arrivò il momento di mettersi alla prova. Così iniziò l’avventura di Vagabondi un piccolo film autoprodotto, in 16mm, la storia di piccoli uomini disgraziati che tentano di dare una svolta alla loro vita: Padova, il rugby, il delta del Po, i filari di pioppi, le mucche, la Toscana.

Carlo scribacchiava dei foglietti giorno per giorno. Non esisteva una vera e propria sceneggiatura. Nonostante tutto, questo piccolo film vinse la prima edizione del Festival Filmaker di Milano nel 1980. Il premio consisteva nella distribuzione in sala da parte della Gaumont Italia, ma poi, come spesso accade, non se ne fece nulla. E così il film non fu mai distribuito.

La vita è strana. Il caso gioca un ruolo importante. Nel dicembre del 1981 le BR avevano rapito a Verona il generale americano James Lee Dozier. Nel Veneto si era scatenata una caccia all’uomo imponente: posti di blocco, perquisizioni. Carlo e Marina abitavano in via Pindemonte, alla Guizza, al quinto piano di un condominio anni 70. Era la casa in cui ci vedevamo tutti i giorni. Il 28 gennaio 1982 agenti del NOCS alle 7 del mattino circondano il palazzo, fanno irruzione e liberano il generale Dozier. Per due mesi era stato tenuto prigioniero dalle BR in un appartamento al secondo piano!

Non so voi, ma io credo nei segnali. Forse era arrivato il momento. Dovevamo andare a Roma. Ma questa è un’altra storia.

E la conoscete tutti.