In anteprima esclusiva il video Goodbye Day degli …A Toys Orchestra con la regia di Fabio Luongo: “Abbiamo trasformato la campagna bolognese nell’Ohio”

Il brano fa parte del nuovo album della band, Midnight Again, che uscirà il 22 marzo: "Una canzone che gioca sul significato della parola addio che suggerisce quasi sempre una fine ma che può significare anche un nuovo inizio ". L'intervista di THR Roma

Nel panorama indie italiano gli …A Toys Orchestra sono sicuramente uno dei gruppi più raffinati e intriganti, con all’attivo centinaia di concerti sia in Italia che all’estero. Li ricorderete come resident band nel programma Volo in diretta su Rai3 con Fabio Volo. I loro brani sono spessi usati in colonne sonore di film e documentari.

Musicalmente nati ad Agropoli in provincia di Salerno e trapiantati a Bologna gli …A Toys Orchestra sono: Enzo Moretto (voce, chitarra, piano, tastiere), Ilaria d’Angelis (voce, chitarra, piano, tastiere), Raffaele Benevento (basso, chitarra, seconda voce) e Alessandro Baris (Batteria, percussioni, seconda voce).  Domani uscirà il video del loro ultimo singolo Goodbye Day, terzo estratto di Midnight Again, il nuovo disco che vedrà la luce venerdì 22 marzo.

THR Roma ha intervistato il leader della band Enzo Moretto e vi propone in anteprima esclusiva il videoclip di Goodbye Day, una canzone che esplora la complessità degli addii, toccando il loro lato talvolta grottesco, spesso doloroso, certamente faticoso. Ma parla anche di rinascita e, soprattutto, di quella luce preziosa che, come nel mito del vaso di Pandora, gli addii custodiscono nel profondo.

Il video che porta la firma di Fabio Luongo è stato girato in un vecchio casolare di campagna, tra i campi di grano dorati, alle spalle delle mura grigie del carcere della Dozza. Sembra di essere in Texas, ma siamo in Emilia, nella periferia bolognese.

Perché Bologna?

Io, Raffaele e Ilaria siamo di Agropoli in provincia di Salerno, parlo dello zoccolo duro della band. Nell’ultima formazione si sono aggiunte due persone, Alessandro Baris alla batteria che ha sostituito Andrea Perillo che è stato con noi per 15 anni, e Maria Giulia Degli Amori che è bolognese che ha sostituito Gianni Barretta che anche lui è stato con noi per 10 anni.

Diciamo che quando le cose sono cresciute in maniera positiva e in termini lavorativi è diventato tutto più impegnativo abbiamo – per forza di cose – dovuto lasciare il nostro paese natale per trasferirci qui a Bologna dove tutto è diventato più fruibile, più fattibile, ed oramai sono passati già 15 anni.

…A Toys Orchestra può essere definita una band?

Si può definire band perché c’è un’ossatura importante che resiste da più di vent’anni rappresentata da me, Ilaria e Raffaele. Siamo una band con la porta sempre aperta, sia per chi vuole uscire anche temporaneamente, a tempo indeterminato o per sempre, sia per chi vuole entrare a farne parte, chiaramente con cognizione di causa. Non ci siamo mai limitati in questo senso, per cui siamo anche a tutti gli effetti una piccola orchestra.

...A toys orchestra

…A toys orchestra

Perché orchestra di giocatoli?

La parola giocattoli serve un po’ a disinnescare quel senso di pomposità, di magnificenza che dà l’orchestra, che è un termine un po’ troppo impegnativo.

A chi è venuta l’idea?

È venuta a me, e ai miei trascorsi, come buona parte di quelli della mia generazione, che aveva nel punk e nel grunge dei punti di riferimento musicali. Ho vissuto il periodo sul finire degli anni novanta ascoltando band come i Grandaddy o i The Sparkles. Ho deciso quindi di avvicinarmi al pianoforte, ai sintetizzatori, alle macchine indie e qualcosa nella mia testa mi ha suggerito di mettere su una piccola orchestra e giocare con la parola giocattolo. Poi per complicare la situazione ho aggiunto i tre puntini iniziali prima della A.

Perché cantate solo in inglese?

Siamo nati a cavallo degli anni 90 quando tutti i nostri idoli venivano dall’America: i Nirvana, i Soundgarden, i Melvins. Da adolescenti all’epoca si giocava cercando di emulare quelle band cantando in inglese. Prima le loro cover, in seguito canzoni nostre ma molto derivative, e alla fine da adulti ti ritrovi a fare sul serio con dei brani e dei dischi tuoi.

Farete prima o poi qualcosa in italiano?

Apparteniamo a quel segmento di artisti che fa un po’ di controcultura che non ci ha mai spinto a un ragionamento del tipo dobbiamo cantare in italiano per andare a Sanremo. La nostra idea è sempre stata quella di creare qualcosa che andasse fuori dal mercato italiano e quindi semplicemente abbiamo scelto di utilizzare un’ idioma un po’ più internazionale.

Il 22 marzo uscirà il vostro nuovo album Midnight Again, che guarda al passato

Il titolo gioca con il nostro passato perché due dei dischi più fortunati della nostra discografia sono Midnight Talks e Midnight Revolution. Era divertente immaginare una trilogia tanti anni dopo i due precedenti lavori perché sono passati circa 14 anni dall’ultimo Midnight. C’era qualcosa durante le registrazioni che mi ha riportato a quel mondo là. Forse perché abbiamo ripreso molto l’utilizzo dell’analogico, gli arrangiamenti con i fiati, con gli archi, con i cori. Io poi sono solito cercare le copertine molto tempo prima che il disco sia realmente completato e mi è capitata per le mani questa copertina con questo essere umano che guarda l’orologio ed è stato lo stimolo per chiamarlo così.

Cover album Midnight Again degli ...A Toys Orchestra

Cover album Midnight Again degli …A Toys Orchestra

Goodbye Day invece è il vostro nuovo singolo

Una canzone che gioca molto con dei doppi sensi, sul significato della parola addio che suggerisce quasi sempre una fine. Invece nel mio modo di intendere, almeno a livello testuale, ho voluto pensare all’addio anche come alla possibilità di avere un nuovo inizio, la possibilità di ripartire. Quello che mi piace fare attraverso la musica è creare dei contrasti. Un brano che può sembrare magari più scanzonato, ha però il testo che tratta qualcosa di molto più profondo. È chiaro che la parola addio ha un significato funesto, tant’è vero che abbiamo giocato anche con dei suoni come il theremin che ricorda un po’ certi film sci-fi. La spettralità di questi arrangiamenti da funeral band in stile New Orleans.

Ritorno alle origini anche nella scelta del regista del videoclip

Fabio Luongo è una nostra vecchissima amicizia. È stato il primo videomaker a realizzare un videoclip per … A Toys Orchestra. Stiamo parlando di Peter Pan Syndrome del 2003. Poi sempre con lui abbiamo realizziamo anche il videoclip di Powder on the Words. Sono stati due video molto fortunati, hanno avuto tantissime visualizzazioni, all’epoca tanti passaggi televisivi e hanno vinto un sacco di premi. È stata una collaborazione fortunata.

Quasi un ritorno di fiamma tra voi

Esatto. Siccome nel progetto c’era questo ritorno, questo again, Fabio per puro caso mi ha scritto un giorno dicendo che sarebbe passato da Bologna e se ci andava di beccarci. Io gli ho raccontato che stavamo registrando un nuovo disco e ci siamo detti perché non facciamo di nuovo un video insieme e 17 anni dopo ci siamo riusciti.

...A toys orchestra

…A toys orchestra

L’idea del video di chi è stata?

L’idea è di Fabio, che era molto curioso di sapere come stava venendo fuori il disco. Sapeva che comunque avevamo chiamato anche altri musicisti, tra cui un piccolo coro gospel e dei fiatisti. A lui questa cosa è piaciuta molto. Siamo ritornati in studio, abbiamo risuonato la canzone, abbiamo registrato quello che è venuto fuori in maniera naturale, anche il momento in cui ci si fumava una sigaretta, quando si faceva una risata o quando si riascoltava il pezzo.

Il vostro rapporto col cinema com’ è?

Fortunatamente dal punto di vista delle sincronizzazioni non possiamo lamentarci perché abbiamo iniziato molto presto e tuttora comunque i nostri brani vengono utilizzati anche nel mondo del cinema. Le porte ce le ha aperte il produttore  e compositore Dustin Halloran (vincitore di un Emmy Award per la colonna sonora della serie tv Trasparent) che ci mise in contatto con il regista americano Jess Manafort per il suo film The Beautiful Ordinary, dove inserì tre brani tratti dal nostro primo album Technical Dreams.

Poi arrivò anche Edoardo Leo. 

Edoardo Leo ci diede grande spazio in 18 anni dopo, la sua opera prima. Un film molto dolce, carino, in tutta la sua ingenuità e  spontaneità. Vedere che una nostra canzone in quel film è addirittura centrale e proprio nel momento clou del film è stata un’emozione non da poco. Devo dire che l’utilizzo di un nostro brano nel bellissimo documentario Terramatta di Costanza Quatriglio, vincitore di diversi premi, fra i quali il Nastro d’argento come miglior documentario del 2013, è stato anche quello un motivo di grande soddisfazione.

Il futuro?

Sto imparando a non calcolarlo troppo, perché il futuro per me è fonte di ansia, quindi da persona molto emotiva quale sono preferisco veramente concentrarmi sull’oggi, anche perché possiamo fregiarci di un passato abbastanza abbondante. Questo è il nostro ventitreesimo anno di attività, per cui non mi piace pensare troppo in avanti, lascio che le cose accadono. Qualcuno molto più bravo di noi cantava Let it Be, lasciamo che sia.

Fabio Luongo con gli ...A toys orchestra durante le riprese del video

Fabio Luongo con gli …A toys orchestra durante le riprese del video

La parola al regista del videoclip Fabio Luongo

Come vi siete piaciuti con gli …A Toys Orchestra?

Ci conosciamo da una vita. Feci il mio secondo videoclip con loro, Peter Pan Sindrome, stiamo parlando di vent’anni fa. Fu un battesimo di fuoco, perché abbiamo subito vinto un sacco di premi con quel videoclip: dal Kodak al Fandango, fino al premio Musica di La Repubblica. Avevamo fatto all’epoca questo video un po’ horror, così surreale. Ricordo che fu proprio un innamoramento esplosivo. Qualche anno dopo ne facemmo un altro e poi ci siamo persi di vista.

Cosa vi ha spinto a tornare a collaborare?

È stato del tutto casuale. Ci siamo reincontrati, ho visto che usciva l’album, e come va, e come non va, e in un attimo, come se non ci fossimo mai salutati, come se non fossero passati tutti questi anni, abbiamo ripreso a collaborare.

Come è nata l’idea del video di Goodbye Day?

La band avevano registrato il disco in questo casale in campagna con questa dimensione un po’ onirica. Ho proposto subito di raccontare direttamente questa loro nuova vita, questo nuovo modo di fare musica. Abbiamo provato quindi a ricostruire l’atmosfera della registrazione di questo album, che è particolarmente orchestrato, con tanti elementi. Enzo mi aveva raccontato che era andata a trovare due ragazze di colore che cantavano in un coro gospel e che era andato in città a prenderle con la macchina.

Ecco quindi l’idea vintage del Pandino. 

Mi sono detto vado lì e mi faccio ispirare da quello che trovo, da quello che c’è e dalle sensazioni che mi danno. Siccome questa campagna era  fighissima ho deciso di non a girare solo dentro il casale ma anche fuori. Ad un certo punto giro l’occhio e vedo tre Panda bianche. Ho pensato che fosse un segnale divino e li ho fatti salire in macchina e ho ripreso anche il loro arrivo. Come se la Panda fosse una navicella in una galassia, in mezzo a questo deserto, con quella musica.

Fabio Luongo con gli ...A toys orchestra durante le riprese del video

Fabio Luongo con gli …A toys orchestra durante le riprese del video

Che attrezzi ha usato?

Ho cercato di essere il più leggero possibile. Ho girato con una Black Magic, una macchina fotografica. Eravamo io e un’altra persona, leggerissimi, proprio per non andare a rovinare l’atmosfera con la nostra presenza. Ero lì proprio in punta di piedi.

Il risultato è un backstage della registrazione del brano…

Attraverso quel backstage racconto comunque la loro natura, il loro modo di essere, di vivere, di scherzare, di prendere la musica.  Sono dei ragazzi tutti in gamba e ho semplicemente cercato di tirar fuori anche attraverso le immagini la loro passione.

Quanto tempo avete impiegato?

Una giornata. Per dare questa atmosfera un po’ surreale poi ho usato delle ottiche un po’ strane, anche nel modo di riprenderli, come  entrare dentro al sassofono, dentro al clarinetto. Insomma queste cose un po’ minimali ma necessarie per quel tocco che avevo in mente.

Che ricordi ha di quella giornata?

Abbiamo scherzato molto sull’immaginare di essere in Ohio invece che ad un quarto d’ora dal centro di Bologna. Perché comunque questa musica cantata in inglese, che ricorda un po’ le atmosfere di Johnny Cash, quel mondo li insomma.

Soddisfatto del risultato?

Sì, doveva essere un video semplice, immediato, ovviamente low budget. Il bianco e il nero è stata una scelta fin dall’inizio che mi ha convinto subito, anche di girare con le bande cinemascope. Sono davvero molto soddisfatto di questo mio ritorno nel mondo musicale.

Prossimi impegni?

Tra un po’ ne devo girare un altro che è di un artista francese con cui siamo andati a girare nel gran ghetto in mezzo ai braccianti. Un video molto forte e molto bello.

Guarda in video in anteprima esclusiva