Compositore per cinema, violinista degli Afterhours, autore musicale, produttore di X Factor e direttore d’orchestra di Sanremo. Rodrigo D’Erasmo è tante, tantissime declinazioni musicali differenti, legate nella loro divergenza da un’urgenza creativa priva di preconcetti e limiti.
Dopo varie esperienze cinematografiche con la composizione di colonne sonore – che non vuole definire la sua occupazione tout court – firma ora quella di Caracas di Marco D’Amore, pubblicata da Edizioni Curci: una musica-miscellanea, che si inserisce a pieno nel contesto napoletano del racconto, pervadendo la storia e chi la abita, permettendo di far prendere vita ad un personaggio a se stante”.
Alla base di tutti quei colori e quelle sonorità evocate dalla colonna sonora, una sinergia immediata con il regista D’Amore, un’alchimia anche musicale. “Mi ha coinvolto da subito, quindi abbiamo avuto modo di scambiarci dei pensieri, delle suggestioni. Sulla prima sequenza del film, Marco si immaginava Manha de Carnaval, un brano brasiliano tratto dall’Orfeo Negro. In realtà quella canzone nel film non ci è mai andata, ma l’ha condizionato inevitabilmente: è come se avessimo acceso una luce su una strada da percorrere piano piano”.
Il processo creativo delle colonne sonore
Entrare a contatto con la musica per il cinema non è un processo unico, sempre uguale. “Lavorare per le immagini è un dialogo creativo”, spiega D’Erasmo. “Mi piace molto partire dal testo, dalle parole, dalla sceneggiatura, dal racconto del film. È il momento in cui c’è più margine di libertà per il compositore. Quando il regista comincia a girare, a rendere concreto ciò che ha scritto, inevitabilmente inizia ad avere delle suggestioni più concrete rispetto a quello che vorrà come suono del film”.
C’è quindi una necessità altra da rispettare, che va compresa e di cui bisogna prendere atto in misura nettamente maggiore rispetto al processo introspettivo della creazione personale, scevra da immagini altrui. “Devi mettere la tua creatività in correlazione con le idee, il pensiero, la visione, il racconto di qualcun altro”, spiega, ribadendo l’importanza di aprirsi all’ascolto dell’altro. “Se tendi ad andare dentro di te, difficilmente andrai a intercettare l’altro: si deve creare e innescare quella relazione creativa e di fiducia reciproca che è poi il deus ex machina del lavoro”.
L’esperienza con Caracas
A seconda del progetto, cambiano le modalità, che condizionano a loro volta il buon funzionamento della colonna sonora in relazione alla pellicola. “Con Caracas ho avuto carta bianca, ed ho potuto registrare tutto nel modo più organico possibile”.
La ricerca, in questo caso, è partita dal racconto stesso di una Napoli aperta, accogliente e piena di culture. “Il film racconta la strada in modo molto interessante, e necessitava di un piano sonoro strumentale organico e materico. Volevo si mescolasse con i suoni di questa città multietnica. Questo crocevia di etnie, religioni, suoni, sapori, colori, è ciò che ho cercato di ricreare”.
E queste molteplici anime, tutte vive e pulsanti, sono il motore anche di una ricerca musicale altrettanto stimolante. “Napoli è una grande mamma che negli anni ha allargato le braccia e ha raccolto tanti figli diversi facendoli propri. Ha un’anima talmente potente che poi alla fine porta tutto a sé”.
L’approccio alla composizione per cinema
Le incertezze esistono, e fanno parte del lavoro dell’artista, anche nell’ambito delle colonne sonore. “Ho iniziato con due commedie fortunate, Terapia di coppia per amanti e Uno di famiglia di Alessio Maria Federici, che non smetterò mai di ringraziare perché è stato il primo a credere in me. Venivo dagli Afterhours, tutt’altro genere, ero poco affine al discorso commedia all’italiana. È stata una palestra enorme, ma l’ho fatto con grande curiosità, entusiasmo e un principio d’incoscienza”.
Da ogni possibilità, però, ribadisce D’Erasmo, possono nascere nuove consapevolezze. “Ho capito che non posso e non voglio essere un compositore di colonne sonore tout court. Uno di quelli capaci di muoversi fra qualunque genere e prestarsi a qualunque progetto. Non è lì che posso essere decisivo, che posso fare la differenza”. E la prova definitiva l’ha avuta con Caracas, “quando ciò che mi viene facile e mi sgorga in maniera naturale dal punto di vista creativo matcha perfettamente con gli intenti del regista, la sua poetica, la sua estetica, succede qualcosa di magico”. Che in questo caso, coincide con la piena soddisfazione riguardo il progetto: “È la prima volta che sono completamente soddisfatto del mio lavoro. Non mi capita quasi mai. Sicuramente il cinema d’autore è quello che mi appartiene di più”.
Ritorna allora al cinema di Leone e alle colonne sonore di Morricone che l’hanno ispirato, “ma con le dovute distanze”, precisa. A partire da lì, è nata la colonna sonora di Caracas, frutto di un flusso di coscienza naturale durato poco meno di un mese. “Nel momento in cui mi sono messo a scrivere non ho dovuto più ragionare su cosa fosse giusto o sbagliato”. Il che da subito ha colpito D’Amore, che “è stato felice di lavorare con la mia musica in cuffia, avendo già in testa il suono del film” e il protagonista, Toni Servillo. “La prima volta che sono arrivato sul set, ci ha tenuto a dirmi quanto gli fosse piaciuto questo intreccio di linee di corde, come l’ha chiamato lui. Gli era sembrato da subito il suono giusto per raccontare questa storia e questa Napoli”.
L’essere fuori dai canoni
Per chi compone colonne sonore, solitamente, la musica leggera è un terreno poco interessante. Rodrigo D’Erasmo rifiuta ogni forma di scetticismo: basta vedere i suoi lavori recenti. Spazia (apparentemente) senza distinzioni tra mainstream e indie, tra gli Afterhours e la manifestazione canora più tradizionale tra tutte, Sanremo. Alla base di tutti questi territori diversi tra loro, un unico comune denominatore: la possibilità di preservare e rispettare sempre il proprio spazio creativo. “Mi ritengo fortunato a non aver mai dovuto fare scelte scomode, a non essermi mai sentito frustrato”.
Di progetti fuori dalla zona di comfort ce ne sono stati, in passato. Quelli televisivi in primis. Ma nessuno per cui D’Erasmo provi un vero e proprio senso di rimorso. “Le esperienze televisive sono state comunque formative. Ti rendi conto che sei dentro un meccanismo di grandissima efficacia, fatto da professionisti straordinari che fanno funzionare una macchina davvero complessa. Se tornerei a farlo con grande entusiasmo? No. Non è un territorio in cui continuerei a muovermi per crescere. Ma da ognuna di queste esperienze ho imparato a selezionare”.
E riguardo l’ultima edizione di Sanremo, per la quale è stato direttore d’orchestra di Diodato (che già aveva diretto nel 2020, quando vinse il festival con Fai rumore), spiega: “Penso che ci sia un po’ troppa omologazione dal punto di vista delle produzioni e della scrittura, e questo ultimo Sanremo ne è lo specchio. Fatta eccezione per Antonio (Diodato) e pochissimi altri esempi, c’è una omogeneizzazione del suono e delle proposte musicali verso l’efficacia radiofonica e l’impatto immediato, del potenziale successo efficace sulle piattaforme”.
Lo definisce un meccanismo vizioso, perverso nella sua circolarità. Figlio di un momento della musica italiana “sterile in quanto a originalità”, e dunque pericoloso nella sua staticità. “Non mi sembra che ci sia coraggio in questo momento. C’è pochissima proposta di rottura, manca un discorso di controcultura nella musica”, che invece nel cinema c’è. “Ci sono delle voci molto più coraggiose nella cinematografia giovane. Anche i non giovanissimi, magari i miei coetanei, che sono arrivati a un momento della maturità, si prendono dei rischi. Marco D’Amore in primis. Con Caracas si è preso il rischio di azzardare. È un film psichedelico, che richiede attenzione e curiosità da un punto di vista intellettuale da parte dell’ascoltatore e dello spettatore”.
Due facce di una stessa medaglia
Il tutto parte da due eventualità possibili per chi lavora nel campo dell’arte: “Chi fa il nostro lavoro può scegliere se fare l’intrattenimento o se fare l’artista. Una cosa è fare intrattenimento e una cosa è provare a spingersi in un territorio più difficile, più pericoloso per se stessi e per le persone cui ci si rivolge”. In questo momento, per D’Erasmo, nel panorama musicale c’è una preponderanza di intrattenitori. E si ritorna sempre al discorso di mancanza di coraggio musicale: “Ma è un discorso di cicli. Questo impoverimento e questa sterilizzazione sono destinati a una stasi dalla quale ripartirà una controcultura molto forte. È ciò che sto aspettando e che mi auguro arrivi a breve”.
Essere artista, nel senso più alto del termine, come lo intende Rodrigo D’Erasmo, significa anche tentare di cambiare la cultura e le sue possibilità. “Io nel mio piccolissimo provo a buttare dei semini. Mi sono sempre ritenuto un po’ un agitatore culturale”. Anche nel tentare di sovvertire le regole, nel ribaltare gli scenari: “Provo a seminare l’alternativo, una parola adesso un po’ desueta che era fondamentale negli anni Novanta. C’era la musica commerciale e c’era la musica alternativa, e questa distinzione si è un po’ persa in un mare magnum di omologazione. Invece è una separazione molto sana, perché ci sono persone che amano essere intrattenute dalla musica e persone che amano essere toccate in un’altra maniera. Emozionarsi, ridere, piangere e essere accompagnate in fasi della vita da un altro tipo di livello e di profondità”.
Essere artisti e ascoltatori attivi, dunque. Lasciarsi trapassare dalla musica, incanalarla e percepirla ben oltre le note e il ritmo. “Non vuol dire che io a momenti non ami essere intrattenuto, ci mancherebbe. Ci sono fasi della vita in cui ti fa piacere stare in leggerezza, ad ascoltare qualcosa che semplicemente ti intrattenga in una buona serata insieme agli amici. Ma la mia fruizione media della musica è un’altra. Così come lo è quella che desidero e provo sempre a proporre e a produrre”.
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