Tutti lo chiedono, tutti lo vogliono: il napoletano Eduardo Scarpetta, per dirla in poche parole, è il Pierfrancesco Favino degli attori under 30. Da oggi è su Prime Video con il suo primo film internazionale, la commedia Mafia Mamma di Catherine Hardwicke – con Toni Collette e Monica Bellucci – e contemporaneamente è su RaiPlay con L’amica geniale, su Netflix con La legge di Lidia Poët e su Disney+ con due serie tv: Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek e, dal 25 ottobre, con i primi quattro episodi de I Leoni di Sicilia, la saga familiare degli imprenditori Florio, presentata oggi in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.
Da lunedì scorso di nuovo sul set (è tra i protagonisti di Storia della mia famiglia, serie Netflix diretta da Claudio Cupellini), ne I Leoni di Sicilia Scarpetta interpreta Ignazio, il figlio del fondatore Vincenzo (nel cast anche Michele Riondino e Miriam Leone), uno dei personaggi più interessanti del grande affresco in costume tratto dal best seller di Stefania Auci e girato da Paolo Genovese: otto puntate adattate per la tv da Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo e prodotte da Compagnia Leone Cinematografica e Lotus Production, con un budget di poco più di 29 milioni di euro, tra i più alti della serialità italiana.
I Florio spiegati facile: chi sono?
I Florio nascono a Bagnara Calabra e dopo il terremoto del 1873 se ne vanno a Palermo, dove campano come miserabili venditori di spezie. Stacco: siamo nel 1860 e il mio personaggio, Ignazio Florio, diventa senatore della Repubblica. Una storia di ascesa al potere tra trovate geniali, matrimoni combinati e qualche tocco di Succession.
Che Italia era, quella dei Florio?
Un paese dominato dal trittico Genova, Milano e Torino. La Sicilia era abbandonata a se stessa. Senza i Florio, cosa ne sarebbe oggi di quella regione? Sarebbe rimasta ferma all’Ottocento. Dovremmo ringraziarli.
La disoccupazione è ancora una piaga nel Meridione. Che è successo a quella spinta propulsiva?
Oggi è tutto diverso da allora, il lavoro artigianale poteva fare la differenza anche in termini di guadagno. Era un periodo speciale: i Florio si inventarono in Sicilia il Marsala e il tonno in scatola poco prima che a Napoli il mio trisnonno (Eduardo Scarpetta, ndr) sistematizzasse l’invenzione del copione e della scenografia. Erano altri tempi, con luci e ombre: la libertà per le donne, per esempio, era un’utopia.
Un David di Donatello (per Qui rido io di Mario Martone), le serie tv, un film negli Stati Uniti: la “svolta” quando è arrivata?
La svolta pratica è arrivata con Carosello Carosone (il film di Lucio Pellegrini, ndr), che ha cambiato la carriera. Da lì in poi, ho cominciato a permettermi dei no, dopo anni in cui mi dicevano che non potevo dire: “non mi piace”.
Chi glielo diceva?
Il mio agente, mia madre (l’attrice Maria Basile, ndr). Mi ripetevano: “da qualcosa dovrai pur partire”. A maggior ragione col mio cognome. La prima sicurezza della mia vita è stata che, se fossi stato un cane, mia madre me l’avrebbe detto quando avevo 15 anni.
Dei no che ha detto si è pentito?
Mai. Prendo in prestito la frase di Robert De Niro: “Il talento è nelle scelte”. Siamo il frutto delle scelte che facciamo e che non facciamo.
Oggi esce Mafia Mamma: che ruolo ha?
Sono il cattivo, ma ho anche una parte comica. È un film divertentissimo che mi è arrivato per caso: ho mandato un self tape e mi hanno scelto. Toni Collette è il mio mito, un’aliena, un’attrice incredibile, irripetibile: siamo diventati amici, chiacchieriamo su whatsapp dei nostri progetti sentimentali. Ma insomma: noi qui facciamo un mestiere, loro negli Stati Uniti giocano in Champions League.
Che fa, ora se ne va in America?
No, ma i provini li faccio: negli Stati Uniti o ci vai a lavorare, o finisci a fare l’italiano che recita in America per tutta la vita. Io vivo e vivrò per sempre a Napoli, dove ho comprato casa due anni fa. Il pubblico che ho in città, che mi ferma per strada, è fatto di persone che rispettano il mio lavoro con discrezione. Non scambierei mai la mia fama con quella dei ragazzi di Mare Fuori, che nemmeno possono andare in giro per strada.
La polemica: in Italia finanziamo troppi film?
A grandi linee direi che sarebbe meglio se ne facessimo meno, ma migliori.
Attori e registi sono pagati troppo?
Si. E rispetto alla media dei lavoratori, in generale, sono cifre senza senso. Se poi ci metti la pubblicità per le sponsorizzazioni, è un giro di soldi incredibile. Fai la pubblicità ai gioielli, due o tre giorni di lavoro, e le cifre sono pazzesche. Conviene a tutti: all’azienda, che invece di spendere 500 mila euro per una pubblicità, ne investe 20.000 facendo indossare un orologio o un gioiello. E conviene all’attore.
Lo fa anche lei?
Io da questo mercato me ne tengo fuori, non mi interessa. Se lo faccio è perché magari mi piace il prodotto. Io ho una macchina Mercedes, e se la Mercedes mi propone qualcosa lo faccio volentieri. Ma non mi troverete mai a fare la pubblicità al borotalco per mezzo milione.
Tanti attori oggi diventano registi. E lei?
Lo farò, ma serve tempo. Mi voglio dare tempo per fare tante altre cose. Non è il momento di dare lezioni all’università o partecipare alle giurie nei concorsi. Mi voglio concedere almeno altri cinque anni per affermarmi. Di anni ne ho 30, ma mi sto costruendo una carriera. E ci tengo a “educare” il pubblico: magari finirà che farò solo due film all’anno.
E il teatro?
Ancora no. Prima devo passare per questa strada. Poi, un giorno, tornerò a fare a quello che voglio davvero.
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