Alicia Vikander: “Ho lasciato Londra per Lisbona dopo la Brexit. Mi sono sempre sentita europea”

L'attrice e produttrice svedese premiata al festival del cinema di Karlovy Vary. “Voglio far decollare The Assessment e la distopia di Fleur Fortune" ha dichiarato l'interprete parlando del suo prossimo film

Alicia Vikander ha ricevuto una calorosa accoglienza durante la 57ª edizione del festival internazionale del cinema di Karlovy Vary, che si è aperta lo scorso 30 giugno.

L’attrice premio Oscar ha ricevuto anche il President’s Award alla carriera, accattivandosi il pubblico quando ha ricordato che il suo film Royal Affair è stato girato in Repubblica Ceca, raccontando di essersi trovata bene nel Paese e che è stato un momento “cruciale” per la sua carriera. Firebrand di Karim Aïnouz ha dato il via alla manifestazione di quest’anno, con Vikander nel ruolo della regina Catherine Parr, l’ultima moglie di Enrico VIII, interpretato da Jude Law.

In una conversazione ad ampio spettro con The Hollywood Reporter e altri magazine, Vikander ha raccontato come decide quali ruoli accettare e perché imparare le battute è così importante per lei. Ha anche parlato del suo lavoro di produttrice, compresi i progetti futuri, delle sedi dei festival cinematografici di Cannes e Busan, della Brexit e del motivo per cui lei e il marito Michael Fassbender hanno deciso di trasferirsi a Lisbona.

Alicia Vikander si racconta al Karlovy Vary

Firebrand e la sua interpretazione nel film sono stati molto elogiati. Sa già cosa farà dopo questo film? Ha già in programma un nuovo progetto

Farò un film molto diverso, ma sempre indipendente. Dovremmo iniziare a girare molto presto. Non c’è nulla di confermato, ma stiamo cercando di far decollare questo progetto con una regista francese di nome Fleur Fortune, intitolato The Assessment, e con Elizabeth Olsen – anche lei un’attrice straordinaria (secondo quanto riportato, le due star interpreteranno una coppia che vive in un futuro distopico in cui la vita e il parto sono controllati e ottimizzati, ndr). Non posso dire altro, ma è molto diverso da quello che ho fatto in precedenza. Il ruolo mi emoziona, è una parte molto fisica. Qualcosa che non ho mai fatto prima.

Può dirci qualcos’altro su questo o su altri progetti futuri?

È un piccolo film. Ha alcuni elementi di cinema di genere, ma è davvero una produzione indipendente. Ha una troupe europea, e la regista è al suo primo lungometraggio. Ma ho letto il copione e mi sono detta “Uh-huh”. Ho fatto anche una chiacchierata con lei, è straordinaria. Ha girato alcuni cortometraggi di mezz’ora, davvero fantastici. Ha lavorato anche con Travis Scott e Pharrell Williams, ed è molto visiva.

Per il prossimo anno, hp iniziato a girare ora in Corea del Sud Hope, con il regista Na Hong-jin (il thriller su una misteriosa scoperta in una remota città portuale avrà come protagonista anche il marito di Vikander, Michael Fassbender, ndr). Non so se avete visto Goksung – La presenza del diavolo. Ho visto quel film nel 2016 e avevo già visto The Chaser, il suo primo lavoro. Na Hong-jin è un regista che seguo da molto tempo. Sono una sua grande fan.

Mi ero messa in contatto con lui per sviluppare un progetto assieme, ma poco dopo gli è arrivata una grande possibilità e ha lasciato il progetto. Lo ha fatto in modo molto gentile. Ma poi è tornato, un anno e mezzo dopo e mi ha detto: “Beh, vuoi partecipare al film?”. Quindi, ora sarò nel suo prossimo film, e sarà una cosa molto bella. Si tratta di un film molto grande realizzato al di fuori del sistema hollywoodiano, totalmente finanziato dalla Corea del Sud.

Vikander e i festival

Cosa ci può dire sulle sue esperienze ai festival del cinema?

Il primo festival del cinema internazionale a cui sono stata è quello di Busan nel 2010, con Pure, il mio film svedese, che lì ha vinto il premio internazionale (Flash Forward Audience Award, ndr). Ora hanno tutti gli occhi puntati sulla Corea del Sud. È la cosa più di tendenza che c’è in giro adesso. Ma all’epoca, c’erano tutti questi film asiatici che non conoscevo, e quindi ho iniziato a farmi una cultura su quel cinema.

L’anno dopo sono andata a Cannes con la troupe con cui avevo lavorato in Royal Affair. È stato interessante perché sono cresciuta con mia madre che era un’attrice. Cannes, Venezia e Berlino erano festival che ovviamente guardavo con ammirazione e di cui avevo visto le immagini.

Ma dopo essere stata a Busan, sono rimasta scioccata, perché Busan è più grande. Quando sono venuta a Cannes, ho pensato: “Oh, non è così grande”. È buffo perché anche Busan si trova su una sorta di Croisette, quindi è costruito nello stesso modo. Dovreste cercare su Google la cerimonia di apertura, è come le Olimpiadi. Ci sono 8.000 persone che guardano lo schermo del cinema, non 1.000.

Sulla recitazione

Quando The Danish Girl è stato presentato in anteprima nel 2015, il tema del film era piuttosto controverso… 

Stavo parlando con alcune donne trans e per qualche motivo il discorso è caduto su The Danish Girl. E io ho detto tipo: “Sì, sono assolutamente consapevole che oggi quel film non sarebbe stato realizzato”. Loro mi hanno risposto: “È solo una parte del viaggio, e l’abbiamo mostrato ai nostri genitori per fargli capire un po’ quello che stavamo passando”. È stato bello sentirlo. Credo sia stato parte di qualcosa che ha rappresentato un cambiamento fondamentale. In questo senso, sono molto orgogliosa del film.

In che modo i vestiti e i costumi influenzano la sua recitazione?

Ho questi pensieri, idee o una sensazione che sto cercando. Non so ancora cosa sia. E quando vai a fare la prima prova, è come se andassi a un matrimonio e la sensazione è ‘questa sono io, o la versione di me che voglio essere’. La situazione cambia sempre. Sento che anche la mia fisicità cambia un po’, a seconda del ruolo. Ma indossare il costume è uno di quei momenti magici in cui trovi la cosa giusta che ti dà la sensazione giusta per il tuo personaggio.

Ha lavorato con molti registi diversi. Ha un modo preferito di lavorate?

Il mio lavoro non è mai lo stesso. Ne sono in qualche modo dipendente. Ci sono registi così diversi, che affrontano il loro lavoro, le prove, il modo in cui girano o qualunque altra cosa con modalità diverse. E ho imparato sempre di più a seguire il flusso.

Ora, se un regista dice qualcosa, rispondo: “Sì, certo”. Posso non provare, posso provare. Oggi sono più disposta a sperimentare diversi modi di lavorare e mi rendo conto che forse posso osare e fare cose diverse. Ovviamente, il tempo che passo a casa a leggere le mie battute è solo mio, ma mi piace ascoltare cosa potrebbero portare questi registi di nuovo rispetto al modo in cui ho lavorato prima. Sono stata piuttosto fortunata. Ho lavorato con alcune persone incredibili, che ammiro davvero. 

Ha citato la questione di imparare le battute. Anthony Hopkins una volta ha detto che la recitazione sta tutta nell’imparare le proprie battute…

Voglio dire, quello è il primo passo. Ho come degli incubi sul non sapere le battute, sul non essere preparata. Non lascerò mai che succeda. Ma poi, quando le impari abbastanza bene, le dimentichi. È questa la recitazione per me. È questa l’essenza di una cosa che viene estremamente naturale.

Il rapporto con Jude Law

Ha lavorato con Jude Law in Firebrand ma precedentemente anche in Anna Karenina. Che dinamica attoriale c’è tra voi due?

Anche allora eravamo entrambi di “sangue reale” (ride, ndr). Quando sono arrivata su quel set con Jude Law e Keira Knightley, improvvisamente sono entrati a far parte della mia realtà. È stata una delle prime volte che è successo nella mia esperienza lavorativa. Keira ha solo tre anni più di me, ma ovviamente ha avuto una carriera più lunga della mia perché ha iniziato presto. Ed è straordinaria, così dolce e laboriosa.

Jude, Keira e tutti gli attori di grande esperienza sono stati umili e si sono davvero presi del tempo per me. Va tutto bene quando ti accorgi che qualcuno sa il tuo nome e fa davvero uno sforzo per farti sentire a tuo agio e per mostrarti che quello è uno spazio sicuro in cui puoi lavorare. Ed è quello che ha fatto Jude, mi è bastato questo per capire era un uomo meraviglioso e che tiene molto al suo lavoro. Ero anche una grande fan perché avevo visto i film di Karim (Aïnouz, ndr). Volevo davvero lavorare con lui. Jude era già nel cast quando ho letto il copione, quindi sapevo che sarebbe stato un lavoro divertente.

Divertente, con un dramma così serio?

Io e Jude abbiamo fatto interviste singole e conferenze stampa a Cannes. E lui è venuto dicendomi: “Alla fine ho detto solo che è stato un lavoro molto divertente, e la gente mi guardava”. Gli ho risposto: “Ma in effetti ci siamo divertiti molto”. Penso che, quando devi trattare argomenti molto pesanti e sai che bisogna rendergli giustizia, se ti diverti nel tuo lavoro, riesci a farli emergere in modo più autentico. 

Alicia Vikander, la produzione e Lisbona

Qualche anno fa ha lanciato la sua società di produzione, la Vikarious Productions. State lavorando a qualche progetto?

Abbiamo tre film, che erano rimasti fermi nella fase di sviluppo durante il Covid. Inoltre mi sono concentrata sul progetto più grande della mia vita quando ho avuto mio figlio. Produco anche da sola, al di fuori di Vikarious. Lo sto facendo adesso, per un altro progetto. Quindi ho continuato a produrre, e vorrei davvero vedere decollare uno dei progetti che stiamo sviluppando con Vikarious.

Lei e la sua famiglia ora vivete a Lisbona, come mai?

Sì, ci viviamo da cinque anni. Quando vivevamo a Londra, ci ho abitato per sette anni, avevo la mia casa e l’avevo ristrutturata. Ma Michael ci viveva da qualcosa come 18 anni, e voleva davvero trasferirsi lontano da una grande città. Londra è un centro importante per il nostro settore, e non ero pronta a lasciarla, ma poi c’è stata la Brexit. Ero molto triste.

Mi sono sempre sentita europea. Avevamo molti amici che parlavano di trasferirsi a Lisbona, e poi ci siamo andati e mi è piaciuta subito. E dopo che siamo tornati, nel giro di poche settimane avevamo comprato quella che ora è casa nostra. E tutti ci dicevano tipo: “Ma fate sul serio?”. Il clima ovviamente è un po’ meglio di quello svedese o irlandese. È una città più piccola, ma le persone sono così amichevoli. E in 25 minuti siamo in spiaggia: i miei figli e quelli dei miei amici possono andare anche in skateboard o fare surf. È un ottimo posto per le famiglie. 

Come si fa a sopravvivere al mondo dello spettacolo e a rimanere una bella persona?

Ci si circonda di belle persone, e ho tenuto i piedi per terra. Nella vita privata, ho gli stessi amici di quando avevo 20 anni, e sono i miei migliori amici. Molti sono svedesi, ma lavorano anche loro all’estero ora. Ho amici e amiche che vivono a New York,  Parigi e Berlino. Hanno avuto delle ottime carriere. 

Intervista modificata per motivi di lunghezza e chiarezza.

Traduzione di Nadia Cazzaniga