Ludovico Bessegato: “In Prisma 2 la politica non c’è. Ma c’è. Il messaggio? Che la nostra società è fluida. E che non ci sono buoni o cattivi”

"I miei personaggi non sono mai completamente positivi o completamente negativi. Ho sempre cercato di rappresentare le minoranze senza santificarle, senza costringere il pubblico a stare dalla loro parte", racconta lo showrunner della serie Original Prime Video, dal 6 giugno sulla piattaforma con il secondo capitolo. E sul suo futuro rivela: "Penso sia arrivato il momento di fare un salo al cinema". L'intervista di THR Roma

Amicizia, bullismo, anoressia, sessualità, transizione di genere, coming out. E ancora: religione, razzismo, droga, identità, antifascismo. Sono solo alcune delle tematiche affrontate da Ludovico Bessegato, regista, sceneggiatore e showrunner di Skam Italia e Prisma. Le due serie tv che più di tutti (e meglio di tutti) hanno saputo raccontare con onestà le tante sfaccettature dell’adolescenza. Una rivoluzione narrativa capace di affrontare sia realtà senza tempo con le quali ogni spettatore di qualsiasi età si è confrontato sia argomenti attualissimi.

Ne è un esempio Prisma 2, secondo capitolo della serie Original Prime Video che arriverà sulla piattaforma dal 6 giugno, in cui Bessegato – insieme alla co-sceneggiatrice Francesca Scialanca – parla di carriera alias (protocollo per modificare o registrarsi con il nome che corrisponde alla propria identità anche se diverso da quello anagrafico, ndr), revenge porn o fluidità.

“Però in qualche modo rifiuto l’etichetta della politica”, racconta a THR Roma il regista. “Perché spesso il momento in cui si dice che una cosa è politica è come se volesse prendere una posizione. Qualcosa che cerco di non fare. Non per ignavia o perché non voglia posizionarmi. Sono autenticamente convinto del fatto che sulle cose sia meglio aprire a delle domande e non dare delle risposte”.

(L’intervista contiene spoiler sulla seconda stagione di Prima)

Ludovico Bessegato, Lorenzo Zurzolo e Mattia Carrano sul set di Prisma 2

Ludovico Bessegato, Lorenzo Zurzolo e Mattia Carrano sul set di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

In questa seconda stagione siete andati molto a fondo nelle tematiche presentate nel primo capitolo. Che tipo di reazione vorrebbe?

Serie come Prisma hanno il difetto di avere ambizioni complesse. È quel classico prodotto a cui si chiede allo stesso tempo di piacere alla critica e di convincere un pubblico che magari sta cercando delle cose un po’ diverse da quelle che si vedono. Un pochino più di complessità, di artigianalità, di sguardo. Ma quasi allo stesso piano, non di più. Per noi è fondamentale il consenso degli spettatori, ma non solo perché senza non si va avanti – che, per carità, è un’ottima ragione (ride, ndr) – ma perché serie come Skam e Prisma, vivono dell’amore del loro pubblico. Quando vedo le persone, anche sui social, che hanno dei desideri forti e li vogliono vedere esauditi, io indubbiamente voglio aumentare il più possibile questa platea. So che è una serie che può emozionare. E quindi sono molto felice se riusciamo a coinvolgere tante persone in questo racconto.

Proprio in virtù di quella profondità, quando vi siete ritrovati a scriverla avevate già degli obiettivi? 

Sapevamo sicuramente che dovevamo dare una risposta a che cosa fosse successo nel pullman tra Daniele (Lorenzo Zurzolo, ndr) e Andrea (Mattia Carrano, ndr), Dovevamo essere gratificanti con il pubblico che ci ha aspettato per quasi due anni. Se ti lascio con un cliff di quel tipo, non posso poi prenderti in giro. Quindi sapevamo che il loro rapporto doveva essere l’architrave di questa seconda stagione, così come che le conseguenze della diffusione del video intimo di Carola (Chiara Bordi, ndr) dovevano produrre delle riflessioni.

Sapevamo anche che il rapporto tra i gemelli doveva cambiare. Marco doveva diventare in qualche modo l’antagonista principale di Andrea. E che la parte dell’avventura musicale del gruppo trap doveva evolvere e ci interessava attraverso quello raccontare alcune dinamiche del mondo musicale a quei livelli. L’altra cosa che abbiamo messo a fuoco molto presto è che volevamo che Nina (Caterina Forza, ndr), dopo essere stata sballottata tra amori non corrisposti e confusione, avesse una ricaduta sentimentale gratificante e forte con cui potersi misurare.

Lorenzo Zurzolo e Chiara Bordi in Prisma 2

Lorenzo Zurzolo e Chiara Bordi in Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

E poi?

È partito il tentativo di mettere insieme tutte queste cose che sono anche molto diverse. Il grande sforzo fatto insieme a Francesca è stato raccontare delle storie diversissime con dei toni altrettanto diversissimi e riuscire a trovare un’amalgama perché diventasse un unico grande racconto. Spesso, quando si amano i personaggi e le storie, succede che sai da dove parti ma non sai dove arrivi e come ci arrivi. Scrivendolo abbiamo capito mano a mano esattamente dove volevamo arrivare. Vale lo stesso per il finale, che è piuttosto aperto. A volte la scrittura prende delle pieghe diverse e noi come narratori dobbiamo sottostare, perché i personaggi prendono vita e noi li dobbiamo seguire. Gli diamo una partenza, li seguiamo e, ogni tanto, fanno delle cose un po’ diverse da quelle che ci immaginavamo.

Ha citato Skam. Pensando anche solo all’ultima stagione e a questo secondo capitolo di Prisma, tra antifascismo e transizione di genere – anche se non è il punto da cui partite – si possono definire come delle serie politiche?

Capisco quello che intende. Sicuramente Skam 6, scritta da Alice Urciolo e Elisa Zagaria, approcciava in modo critico al modo in cui i ragazzi non seguono la politica, l’apatia dei giovani nei suoi confronti. C’erano due o tre frecciate che non sono state colte e mi è dispiaciuto perché era una parte interessante. Però dal momento in cui i ragazzi non si interessano di politica era inevitabile che quella parte non venisse colta. Era una profezia autoavverante (ride, ndr). Direi che in Prisma 2 la politica non c’è, ma c’è.

Nel senso che ci sono dei temi estremamente attuali – appunto la carriera alias, il revenge porn, il giornalismo – però in qualche modo rifiuto l’etichetta della politica. Perché spesso il momento in cui si dice che una cosa è politica è come se volesse prendere una posizione. Una cosa che cerco di non fare. Non per ignavia o perché non voglia posizionarmi. Sono autenticamente convinto del fatto che sulle cose sia meglio aprire a delle domande e non dare delle risposte.

Una scena di Prisma 2

Una scena di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

In che modo?

Ognuno dei miei personaggi non è mai completamente positivo e non è mai completamente negativo. Ho sempre cercato di rappresentare le minoranze senza santificarle, senza costringere il pubblico a stare dalla loro parte. I miei personaggi sbagliano, sono profondamente scorretti e, allo stesso tempo, ho cercato di mettere in luce anche le contraddizioni. Andrea, ad esempio, in un certo momento lo trovo quasi egoista ed egocentrico nel modo in cui pretende che Daniele accetti immediatamente la sua scelta. Un aspetto che di solito non viene messo in luce di chi fa coming out e di chi chiede agli altri un’accettazione immediata.

Mi è piaciuto far vedere anche il bisogno da parte della società di avere il tempo di metabolizzare il cambiamento. Ho cercato in quasi tutti gli argomenti che abbiamo affrontato di dare un doppio sguardo, di fare vedere quello e il suo contrario, quello e il suo eccesso. In modo tale che allo spettatore venisse restituita la complessità della nostra società in cui c’è di tutto. Il messaggio politico di Prisma è che la nostra società è ormai completamente fluida, mista. Non ci sono buoni e cattivi. E non necessariamente aprirsi e considerarla nella sua pluralità – che è un fatto e bisogna farlo – significhi mettere una riga e stabilire che da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi. In questo sì c’è un po’ di politica, però non nel senso tradizionale. Non è ideologica.

Lei, invece, che adolescente è stato? In tv cosa la faceva sentire rappresentato?

Beh, sicuramente questa cosa mi si ritorcerà contro (ride, ndr). Guardavo come guilty pleasure – niente di appassionante – Dawson’s Creek. A volte mi chiamavano “Ludoson” perché tutti e due eravamo biondi e volevamo fare i registi. E perché tutti e due non eravamo i quarterback del liceo. Non è che amassi molto quella definizione (ride, ndr). Però più che guardare le serie guardavo i film. Ricordo che quando facevano la rassegna dei film di Venezia e Cannes a Milano andavo con mia mamma e ci facevamo delle grandi maratone. Ho sempre guardato e presto tutto da tutto. Ed è quello che mi aspetto anche dal pubblico. Questa idea per cui una persona si possa e si debba riconoscere solo se vede rappresentato se stesso alla sua età sullo schermo a me fa paura.

Chiara Bordi e Mattia Carrano sul set di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

Chiara Bordi e Mattia Carrano sul set di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

Perché?

Da ragazzino mi piacevano Pulp Fiction e X-Files. Persone di altre nazioni, di altra età. E questo può valere anche al contrario. “Nonostante abbia quarant’anni mi è piaciuto”. Ma perché? Non lo diresti mai se facessi una serie di anziani. C’è quasi una vergogna nel dimostrarsi ancora attenti alle dinamiche di persone di vent’anni. Questo ci dà l’idea di quanto la nostra società sia profondamente razzista nei confronti dei giovani al punto che se ci si interessa di loro si deve quasi chiedere scusa e mettere le mani avanti. Eppure i giovani sono la cosa più bella che c’è in ogni società. Sono la parte attiva, dinamica, la scoperta. Non bisognerebbe vergognarsi di amarli.

Daniele si affida a Internet per cercare di capire le emozioni che prova. A lei è mai capitato?

No, non tanto. Perché ne conosco i limiti. Però questo è uno degli elementi in cui ci sono io e poi ci sono i miei personaggi. Il fatto che io non cerchi risposte sul mio orientamento o sulla società in un reel di Instagram non significa che ci sia giudizio se mi accorgo che è quello che avviene più spesso all’interno dei personaggi che racconto. Ho avuto la fortuna con Skam di ereditare il lavoro fatto dai norvegesi. La serie mi ha messo in contatto con delle persone fantastiche. Nello specifico Pietro Turano, l’attore che interpretava Filippo, che è un attivista e mi ha aiutato ad approfondire, a farmi domande. È stata una guida.

Per quanto riguarda Prisma c’è stato un lavoro molto lungo che abbiamo fatto per preparare la serie e che continua. Abbiamo avuto tre consulenti, tre persone trans che abbiamo intervistato. La stessa co-sceneggiatrice è una donna lesbica. Mi ha aiutato a raccontare certe dinamiche e sensibilità. In questa parte di racconto quello che a volte uno non pensa è che dietro otto puntate di Prisma ci sono letteralmente quasi due anni di lavoro. La documentazione è tantissima e non si finisce mai. È un piacere perché abbiamo una responsabilità, parliamo a milioni di persone e ne ispiriamo – anche se non è il nostro obiettivo – tantissime. Dobbiamo essere precisi.

Chiara Bordi sul set di Prisma 2.

Chiara Bordi sul set di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

Un altro elemento importantissimo di Prisma è il racconto della disabilità vista come una delle tante caratteristiche di un essere umano e non come quella che la definisce. In questo il lavoro con Chiara Bordi è stato decisivo?

Chiaramente è un equilibrio difficile perché da una parte il mondo ci chiede di aumentare la rappresentazione, di allargare, di raccontare anche le marginalità, le non conformità. Però, allo stesso tempo, ci viene giustamente anche chiesto di non dare a questa rappresentazione troppo importanza. Come tutte le cose difficili è una sfida che accetto ed è la ragione per cui quando rappresento qualcosa che non comprendo completamente mi affido molto. Tutto ciò che abbiamo rappresentato in questi termini è stato sempre frutto di tante ore di ascolto con persone che invece avevano più voce in capitolo di noi.

E Chiara certamente è diventata una di queste voci. Spesso i miei attori non sono solo attori ma partecipano anche alla costruzione della storia, alla caratterizzazione dei personaggi. Il modo in cui abbiamo rappresentato Carola è in qualche modo il modo in cui io ho osservato Chiara essere nella sua vita e come le persone si sono relazionate a lei. Non era una posizione ideologica. Osservandola ho smesso io per primo di vedere la sua protesi. È un elemento totalmente accessorio, esattamente come un paio di occhiali.

In questi anni ha raccontato l’adolescenza. Sente che è arrivato il momento di spostarsi su altro?

Ci sono tanti progetti e cose che sto pensando di fare. Sto cercando di mettere a fuoco la più giusta. Sicuramente mi piacerebbe fare un salto al cinema. Penso sia arrivato il momento. Sto solo cercando di capire qual è la storia più giusta. Quello che so per certo è che, oltre a Prisma, in questo momento non mi metterò a lavorare su nuovi progetti teen. Non per saturazione, ma perché dopo sette anni penso di avere detto tutto quello che mi interessava. Penso che arrivato a quarant’anni sia il momento di guardare anche un po’ da qualche altra parte.

Lorenzo Zurzolo e Mattia Carrano sul set di Prisma 2

Lorenzo Zurzolo e Mattia Carrano sul set di Prisma 2. Foto di Francesco Ormando/Prime Video

Da professionista e produttore ha la sensazione che la serialità stia avendo difficoltà, nonostante le grandi star e produzioni, a mantenere alto il livello rispetto agli anni passati?

La verità è questa: il nostro è un settore dove fare le cose costa tantissimo. Sono coinvolti tanti protagonisti che è giusto pagare e che, anzi, probabilmente bisognerà pagare anche di più. Tutto questo fa sì però che per rientrare dall’investimento di realizzare una serie si debba raggiungere un enorme numero di persone. È l’unico modo per pagare a tutti il lavoro nel modo migliore. Questo purtroppo, a volte, rende le cose complicate. Perché riuscire a parlare a milioni di persone significa dover ogni tanto scendere a dei compromessi. Più sono le persone a cui si deve parlare, più è complicato riuscire a fare un lavoro personale che risponda solo ai propri gusti.

Lei ci riesce?

Cerco il più possibile di mantenermi coerente con quello che mi piace. Però è uno sforzo necessario, non posso fare solo una cosa che piace a me. Per adesso sono in quel momento molto fortunato in cui quello che piace a me piace abbastanza anche agli altri (ride, ndr). È una fortuna assoluta che non riconduco al mio talento. Trovare l’equilibrio è molto complicato. Purtroppo o accettiamo tutti quanti di dare più valore a quello che guardiamo – e quindi accettiamo anche di pagare un po’ di più gli abbonamenti che non sono tanto cari – o impariamo a valorizzare un po’ di più le cose che ci piacciono. In questo momento secondo me stiamo cercando un equilibrio tra la qualità e il bisogno di raggiungere un pubblico molto largo.

Lo showrunner che invidia?

David Benioff e D. B. Weiss di Game of Thrones. Recentemente hanno fatto anche Il problema dei tre corpi. Devo dire che li invidio perché fanno una cosa fantastica: hanno preso due saghe letterarie e hanno avuto la possibilità di trasformarle in serie. È ancora più bello che non scrivere qualcosa direttamente. Essere lettore, innamorarsi di una storia e avere la possibilità di renderla reale. Per me è il sogno di una vita.

E qual è il libro che vorrebbe portare sullo schermo?

Il mio preferito da bambino era Jurassic Park, che ha molto più materiale di quello che hanno messo nel film. Il sogno sarebbe sempre stato quello di fare la serie basata sul libro, che è impossibile. Tra l’altro ho letto che forse faranno il reboot dei film. Quindi il mio sogno è definitivamente morto. Però va bene così, troverò un altro (ride, ndr).