Aquaman e il regno perduto, ovvero come Jason Momoa ha risolto il riscaldamento globale in due ore

Il nuovo film di James Wan continua sulla strada tracciata dal precedente capitolo: Arthur Curry in veste non solo del Re di Atlantide, ma anche di marito, fratello e padre, nonché di persona metà umana e metà atlantidea. Però tra effetti speciali e oceani cristallini, l'ultimo prodotto DC affronta il cambiamento climatico con troppa leggerezza

L’orologio dell’apocalisse segna 90 secondi alla mezzanotte. Tra le minacce per il genere umano, c’è il cambiamento climatico, e con esso – purtroppo – anche una certa resistenza nel prendere azioni nette e politiche consapevoli, e il primo testo dalla COP 28 – fortunatamente modificato – è forse l’esempio più emblematico. Ecco, se ci fosse Aquaman – almeno stando a quanto raccontato in questo secondo capitolo del personaggio DC diretto da James Wan – le cose andrebbero molto diversamente. Avrebbe risolto il problema in due ore di film.

Aquaman e il regno perduto continua sulla strada già tracciata dal precedente capitolo per raccontare un Arthur Curry in veste di Re di Atlantide, ma anche di marito, fratello e padre, nonché di persona metà umana e metà atlantidea. E se la questione del cambiamento climatico, tema facilmente trattabile all’interno di una storia di Aquaman, è il filo conduttore della nuova avventura di Jason Momoa, è anche vero che lo stile adottato da James Wan e la qualità della sceneggiatura continuano a essere decisamente scarse per un film ad altissimo budget.

Il tono delle pellicola è chiaro dai primi 90 secondi, in una sequenza iniziale stucchevole, e che continua a portare i segni di questo look visivo troppo pacchiano, che in un certo senso si adatta al personaggio – guardando anche alla sua storia editoriale a fumetti – ma che sul grande schermo risulta invece posticcio e poco credibile.

Effetti visivi a fiumi

Gli effetti visivi scorrono a fiumi, anzi a oceani. E la loro qualità lascia a desiderare in più occasioni. Il tocco horror, che un po’ si era notato nel primo film del 2018, con la famosa scena del peschereccio in cui Momoa ed Heard sono sul peschereccio difendendosi dai demoni della fossa che arrivano dalle profondità del mare, è un elemento vivido nelle storie a fumetti del personaggio creato da Mort Weisinger e Paul Norris, ma comunque poco esplorato anche dallo stesso regista di Saw, che invece aveva tutte le potenzialità per scavare più a fondo non soltanto nelle tematiche ambientaliste centrali di Aquaman, ma anche nel suo lato orrorifico e grottesco.

Qui invece, il tono di Arthur Curry è molto più leggero, appetibile certamente a un grande pubblico, ma sacrificando alcune sfaccettature del personaggio che, alla fine della fiera, avrebbero permesso al film di spiccare nel marasma di cinecomics usciti questi anni, e la cui qualità sta calando vertiginosamente anche dalla concorrenza di Marvel.

Viene raccontato – e questo è lodevole – l’aspetto politico del Regno di Atlantide, anche se con grande superficialità, e un pizzico di banalità. La questione del riscaldamento globale è molto detta ma poco mostrata nel concreto, risultando più un espediente narrativo rispetto a un sincero interessamento alla tematica. E il lato artistico rispecchia questa intenzione, perché oltre a fumi verdi inquinanti, il mare e gli oceani sono sempre limpidi e cristallini, e la fauna ittica gode di ottima salute. Quando è noto il contrario.

Orm e Aquaman in una scena di Aquaman e il regno perduto

Orm e Aquaman in una scena di Aquaman e il regno perduto

Aquaman va “veloce” come Flash

Un’altra forte contraddizione viene percepita nel ritmo della storia e nel montaggio, che si prende i suoi tempi nella prima metà del film, per poi correre come Flash nelle fasi finali, cercando di trovare il bandolo della matassa di una storia troppo grande per essere trattata in due ore senza scivolare.

E arrivati alla fine di questo Aquaman e il regno perduto, con tutti i riferimenti possibili e immaginabili dalla cultura pop e a tante altre pellicole che hanno fatto la storia del cinema – oltre che la pubblicità a marche di birra talmente palesi che forse era meglio mostrare direttamente il logo -, il risultato è un film di puro intrattenimento confusionario, e che solo la simpatia di Jason Momoa, e la convizione attoriale del cast, riesce a mantenere in piedi.

Per il resto, Aquaman e il regno perduto, è solo un’altra goccia nell’oceano di cinecomics, e – per gli appassionati del personaggio – occorre sperare nel nuovo universo in lavorazione da James Gunn e Peter Safran.