Come può un titolo uscito il sala in 350 copie competere con uno distribuito soltanto in 50, si chiede Barbara Ronchi al Bellaria Film Festival 2024. L’occasione è la presentazione del film Io e il secco, opera prima di Gianluca Santoni, per cui riceve anche il premio Casa Rossa alla miglior interpretazione femminile e al suo “impegno nel cinema dei giovani autori”.
Io e il secco uscirà al cinema il 23 maggio, dopo il debutto ad Alice nella città lo scorso ottobre e il passaggio a diversi festival, tra cui lo stesso Bellaria. “Ho molta paura delle copie con le quali questo film uscirà in sala”, confessa Ronchi. “Anche per questo il Bellaria è importantissimo per noi, così come ogni altro festival in cui decideranno di invitarci. Ho in fondo la sensazione che verrà visto più in questo contesto che al cinema, per questo ho deciso che devo esserci. Devo esserci perché so che magari, qualcuno verrà a vedermi, non per fanatismo, ma è la realtà. Allora voglio sfruttare questo vantaggio, mi ci voglio dedicare. Film come Rapito non hanno bisogno di me, il mio lavoro lì finisce molto prima, mentre film come Io e il secco vanno accuditi, vanno coccolati”, prosegue Ronchi.
E aggiunge: “Oggi nel cinema italiano le nuove visioni ci sono, però devono essere sostenute. Ho la sensazione invece che quando si decide il numero di copie allo stesso tempo si stia anche dando il valore del film. Andando a vedere gli incassi, infatti, è facile pensare che un titolo sia andato meglio di un altro, senza sapere i numeri che ci sono dietro. Un 350 contro un 50”. E il cinquanta non è un numero causale, era anche quello delle copie iniziali di La chimera di Alice Rohrwacher, aumentato poi grazie a un appello diretto della regista, al pubblico prima che agli esercenti.
Un dialogo diretto “salverà” il cinema?
Ciò che ha fatto Rohrwacher lo scorso dicembre, secondo Barbara Ronchi, è forse un degli esempi migliori per provare a ribaltare le dinamiche attuali della distribuzione dei film meno mainstream: provare a costruire un dialogo diretto.
“Oggi le sale che funzionano di più sono quelle che creano una loro programmazione e un rapporto fra pubblico e artisti, quelle in cui si parla, ci si confronta. Spero molto nel rapporto umano degli esercenti con il loro pubblico, anche se può sembrare una soluzione romantica“.
Lo afferma, Barbara Ronchi, con una mentalità quasi da produttrice più che da sola interprete. Infatti nella sua carriera, al di là dei grandi titoli che l’hanno lanciata tra le migliori interpreti della sua generazione – soprattutto quelli firmati da Marco Bellocchio – sono spesso gli esordi e i giovani autori a catturare la sua attenzione. “Mi considero una maratoneta, non ho fatto film da centometrista“, afferma.
La ricerca del ruolo in Io e il secco
Nella scelta dei ruoli pesa molto di più la storia nel suo complesso: “Non cerco il grande ruolo senza niente attorno, mi sentirei sola”. Ed è questo che l’ha portata a Io e il secco, la storia di un bambino che assolda quello che crede essere un giovane serial killer, per salvare la madre dalla violenza del padre. “Io e il secco è un progetto che ho proprio scelto, non è capitato. Era una storia che volevo raccontare”, prosegue Barbara Ronchi.
“Sono madre da tanto tempo sullo schermo. L’ho fatto più volte ed è un ruolo che mi piace perché solitamente significa che protagonisti saranno i bambini e con i bambini bisogna essere chiari, onesti come lo sono loro sul set”.
Il protagonista in questo caso è Dennis (Francesco Lombardo), vittima collaterale della violenza domestica del padre. Argomento, questo, che per coincidenza o spirito del tempo attraversa l’attuale stagione cinematografica in Italia.
“Parte da lontano, in realtà”, ricorda Barbara Ronchi, “da quando il soggetto di Gianluca Santoni e Michela Straniero ha vinto il premio Solinas nel 2017. Dal 2017 al 2024 la strada è stata molto lunga, ma sull’argomento credo che ci sia semplicemente resi conto che esiste un problema di cui è necessario parlare, anche a partire da dinamiche familiari”, afferma.
“Penso perché tutti sentano che è da lì, dalla famiglia, che nascono certe cose e che si mette il seme per qualcos’altro. Se tu la violenza la vedi, la senti, la percepisci dentro casa, poi qualcosa in te non cambierà mai”, prosegue Ronchi.
Così Denni, il bambino che guarda dallo spioncino quello che fa il padre, cosa e chi diventerà? Che tipo di uomo? “Ecco, penso che Io e il secco aiuti anche a porsi da un altro punto di vista. Si parla molto della violenza sulle donne e poco dei modelli che hanno avuto gli uomini. A un certo punto bisogna anche interrogarsi su questo, anche perché credo che noi donne abbiamo pensato già tanto a come emanciparci. Adesso tocca agli uomini riflettere sui rapporti. E Io e il secco mi sembra un punto di partenza per farlo”.
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