La politica non vuole che Roma sia una metropoli moderna, votata all’intrattenimento e ai grandi eventi. Perché?

Dalle Olimpiadi negate da Virginia Raggi con l'imbarazzante anticamera imposta a Giovanni Malagò al pasticciaccio brutto dei mondiali di Atletica del 2027, passando per l'Expo, Roma continua a essere lasciata sola di fronte ai grandi eventi che potrebbe ospitare. Mentre Milano, dall'Expo ai Giochi invernali del 2026 va in senso opposto. Roma potrebbe essere la capitale dell'intrattenimento, dello spettacolo e dello sport, ma da una dozzina d'anni qualcosa glielo sta impedendo, con regolarità

Ci risiamo, ora tocca ai Mondiali di Atletica 2027. Difficile capire cosa stia succedendo in quest’ultimo decennio – anzi, qualcosa in più – nella Capitale. Mentre tutti credono in Roma – quest’avventura editoriale, con un colosso come PMC che decide di aprire un’edizione europea a Roma e in nessun altra capitale, ne rivela la centralità economica, strategica e non solo nell’immaginario -, la politica italiana sembra invece ignorarla, denigrarla, trascurarla.

Diceva Agata Christie che “un indizio è un indizio (Olimpiadi 2024), due indizi sono una coincidenza (Expo 2030), ma tre indizi fanno una prova (Mondiali di Atletica 2027)”. Ecco che il trittico che ha privato la Città Eterna di tre occasioni straordinarie per cambiare un’inerzia preoccupante, per rinnovarsi e rivoluzionarsi – pensiamo a Barcellona, ma anche alla più vicina Torino che, dal Museo Nazionale del Cinema fino alle Olimpiadi per arrivare alle ATP Finals ha saputo riscriversi -, per restituire al mondo una visione di sé altra, alternativa e moderna, sono un capo d’accusa schiacciante.

Roma Caput Mundi, ma non per tutti

Sarà vero come ci ha confessato Roberto D’Agostino che “Roma non ha bisogno di Expo o Olimpiadi, non ha bisogno di movimenti, di attirare artisti o eventi per essere Roma, lei è ed esiste comunque, se ne frega”, ma questa città santa e dannata ha sempre saputo riscrivere il proprio presente e futuro, partendo da quel solido DNA, reinventandosi anche grazie a momenti di svolta.

Gli anni ’60 delle prime e ahinoi uniche Olimpiadi estive italiane cullano pure la dolce vita – e non è un caso -, i Mondiali di Calcio del 1990, pur con i suoi sprechi, danno il via a una serie di riqualificazioni che, in particolare dopo Piramide, aprono una primavera capitolina che poi passa anche dalle sindacature di Rutelli e Veltroni (che ha riportato il cinema, l’arte e l’intrattenimento a essere centri di gravità permanenti della città, a partire dalla Casa del Cinema fino alla Festa del Cinema) e da un Giubileo che lascia in eredità un’altra Roma Sud, tra le altre cose.

La resilienza di questa città è dimostrata proprio da Cinecittà, struttura che si sta ripensando, esteticamente, come polo pubblico di intrattenimento e museale e ricollocando nell’ambito produttivo e di hosting di set clamorosi, perché c’è una dirigenza che ha rivisto strategie e visioni anche in base a ciò che poteva arrivare dal PNRR. Insomma, qui a Roma privati e politica locale sono anche disposti a dire la loro, a rischiare, ma con il sostegno inevitabile delle istituzioni che sulla propria Capitale dovrebbero costruire programmi a lungo termine.

Il caso Mondiali d’Atletica 2027

Se è vero che con le Olimpiadi il fattaccio avvenne a causa del sindaco regolarmente eletto – e che legittimamente ne aveva fatto un cardine della propria campagna elettorale, con la curiosa e improbabile scusa di non riuscire, di fatto, ad arginare le possibili corruttele conseguenti -, capo della stessa amministrazione che ha (auto)sabotato lo stadio della Roma a Tor di Valle (altro possibile polo d’intrattenimento), altrove abbiamo assistito a ministri che poco prima della pronuncia sull’Expo facevano accordi a casa dei concorrenti e una politica nazionale che per i Mondiali di Atletica ha sfruttato l’ingenuità di una federazione (la Fidal, che però col suo milione di iscritti ha il peso e la forza di un partito di massa e probabilmente si sarebbe dovuta fidare di meno e vigilare di più) per portare una città prima a candidarsi per i mondiali di Atletica (fondamentali dopo gli Europei di Calcio, quelli per fortuna confermati) e poi a doversi ritirare.

Figuraccia anche peggiore della famosa e imbarazzante anticamera imposta da Virginia Raggi a Giovanni Malagò. Sì, lo so che detta così sembra una barzelletta poco credibile, ma è successo davvero.

Cosa sta succedendo? Non vogliamo farne una questione politica, ma è evidente che da una dozzina d’anni questa città sia sotto attacco, mentre il mondo punta su di lei in casa nostra si gioca al ribasso, si cerca di affondarla.

Va detto che, con obiettività, il centrosinistra ha puntato su Roma come capitale moderna, non solo negli esempi del passato ricordati, ma anche nel tentare ogni mossa per le famose Olimpiadi romane che ora dovremmo vedere nella vicina Parigi. Passi Monti che nel 2012 in una fase di crisi e recessione del paese fece saltare la candidatura per il 2020, ma quella promossa due anni dopo da Renzi e Malagò arrivava in una congiuntura diversa. Era il 2014, sarebbe saltata il 21 settembre 2016 con una rinuncia clamorosa (e le previsioni sui ballottaggi favorevolissime alla Capitale).

Gli stessi Mondiali di Atletica hanno visto il sindaco Roberto Gualtieri e l’assessore al Turismo, Grandi Eventi e Sport Alessandro Onorato in prima fila nel sostenerne la candidatura e nel portarla avanti. Fino all’ultimo minuto, anche quando tutto sembrava volgere al peggio.

Roma non è Milano o Torino

Questo a Roma, perché altrove la congiuntura sui grandi eventi copre tutto l’arco costituzionale: la primavera degli ultimi anni di Milano, che vanno dall’Expo 2015 fino a Milano-Cortina 2026 se vedono in prima fila il sindaco dem Sala, va detto che però hanno trovato la collaborazione, se non l’iniziativa, entusiasta dei Fontana, degli Zaia a livello locale e di Giorgetti e Salvini nel 2019 al governo. Così come l’Expo è figlio della felice intuizione di Letizia Moratti, allora di area centrodestra, sostenuta da Romano Prodi e il suo governo.

Su Milano, insomma, la politica trova convergenze da anni, mentre su Roma anche quando potrebbero esserci (e magari ci sono, su altro, che so una doppia direzione pasticciata al Teatro di Roma) questa scompare. Così Torino, storicamente dem, ma che ha visto un’Appendino (cinque stelle come Raggi) ben più aperta a occasioni di crescita della città, tra grandi eventi e istituzioni da promuovere e proteggere.

Cosa succede quindi, a Roma?

Perché da almeno tre continenti arrivano manifestazioni private d’interesse notevoli quando non investimenti veri e propri di ingenti quantità e visione e la politica, invece, fugge, gira la testa dall’altra parte, sembra non essere capace neanche di realizzare ciò che sembra già fatto?

Lo sfogo di Alessandro Onorato

Abbiamo tutti letto lo sfogo dell’assessore Alessandro Onorato, che sta agendo al meglio soprattutto sui grandi eventi e lo sport (pensiamo al PalaTiziano, restituito a uno splendore che forse non aveva mai avuto o al concerto di Travis Scott, celebrato all’estero e sabotato comunicativamente in Italia). E da cittadini romani lo abbiamo condiviso. Il punto è che non si possono, né si devono cercare colpevoli: troppi anni, troppi governi, troppe amministrazioni finiscono per prendere sempre le stesse (non) scelte a queste latitudini.

E se, in effetti, come sembra, c’è una parte dell’arco politico che sembra avere un’idea diversa, la dica, sostenga e battagli per essa. Ne faccia una bandiera.

Roma non va lasciata sola. Non ora, non oggi. Altrimenti dovremmo pensare che davvero ci sia un problema politico: lo stesso che porta un ministro della cultura a scrivere a un collega per dirgli che se vuole tagliare al cinema (industria prevalentemente romana e in questo momento molto aperta agli investimenti esteri, quindi internazionale) altri 100 milioni, prego si accomodi, e che appunto promette a una Federazione soldi e finanziamenti che poi delega al Parlamento, costringendola a ritirare la candidatura. E a far arrossire tutti noi.