Tornei di videogiochi e pugni virtuali. Al Red Bull Kumite di Street Fighter 6 vince il giovane Garnet

Roma, Palazzo Brancaccio: alle qualificazioni italiane del titolo di combattimento realizzato da Capcom ha trionfato il 22enne Andrea Parlangeli, che ora rappresenterà l'Italia alle finali di New York

Calci, pugni e acrobazie folli. Tutto virtuale, e a portata di joystick. A Palazzo Brancaccio, sabato 9 marzo, i giocatori professionisti di Street Fighter 6 si sono dati appuntamento per le qualificazioni ai campionati Red Bull Kumite, in una giornata che ha visto trionfare Andrea Parlangeli, 22 anni, detto “Garnet”, in un match all’ultimo pixel contro Leandro Vilardo, detto “Geeck-O”.

Parlangeli ha sconfitto 3 a 0 Vilardo, utilizzando il “santone” per eccellenza di Street Fighter, ovvero il personaggio di Dhalsim, mentre Vilardo è sceso sul campo di battaglia con l’agente governativa Cammy, che nella narrativa del videogioco Capcom riceve anche la missione di eliminare il saggio Dhalsim. Missione fallita, uno potrebbe dire.

Nella cornice della Città Eterna, più precisamente in via Merulana, le sale sono state allestite come un ring da wrestling, con al centro le due postazioni dei concorrenti, che si sono sfidati all’ultimo videogioco di combattimento firmato Capcom. Garnet ora rappresenterà l’Italia ai campionati internazionali Red Bull Kumite di New York il prossimo 17 marzo.

Pugni virtuali

L’atmosfera durante il torneo è stata la stessa di un incontro di pugilato, che peraltro è avvenuto in contemporanea al torneo, proprio in via Merulana, nella sede dell’associazione Indomita la porta accanto a Palazzo Brancaccio.

“Vecchia scuola” e “nuova scuola”. E anche le atmosfere, fuori dai locali, si somigliavano. Agonismo, rispetto e passione. Durante i match di Street Fighter 6 il pubblico applaudiva, esultava e faceva cori, sensibile agli sconvolgimenti della partita. Ma era tutto virtuale, e proiettato su schermo. Uno sport, ma elettronico. Niente guantoni, solo joystick.

“Gli e-sports sono uno sport, perché la preparazione fisica conta”, spiega a The Hollywood Reporter Roma Garnet, subito dopo la vittoria contro Geeck-O, seduto al suo fianco durante l’intervista. “La forma fisica ti aiuta a livello mentale nel gioco. Nei miei allenamento, faccio tutti gli esercizi di respirazione e preparazione per la pressione da torneo, non voglio che mi tremino le mani durante la partita, potrei sbagliare combinazioni di tasti e mosse”.

Parlangeli, spiegando perché gli e-sports sono sport a tutti gli effetti, aggiunge: “Nello sport fisico c’è anche una parte mentale. A noi manca la parte fisica tradizionale, ma ciò non va a sminuire ciò che facciamo”. E continua: ”Per noi è come se la parte fisica si aggiungesse alla parte mentale. Abbiamo tutte e due le cose, ma in testa”.

Lo sport elettronico

Nel corso del match tra il suo Dhalsim e Cammy, Parlangeli dice di aver “sudato proprio per la pressione psicologica della finale”. “Per me è al 100% sport, non è solo sedersi e fare due partite”.

Il giovane Garnet, di Milano, si è accostato al franchise di Street Fighter con il quinto capitolo, nel 2016. “Mi è stato regalato per natale da mia madre. E io non conoscevo niente di picchiaduro”.

“All’epoca ancora non giocavo a livello competitivo, ma una cosa che notavo di Street Fighter è che è, come tutti i giochi di combattimento, un gioco individuale”. E continua: “A me i giochi di squadra non piacciono moltissimo. Ho avuto un passato e-sports con Call of Duty quando avevo dodici anni, ero molto piccolo, a volte si perdeva per errori dei compagni di squadra”.

“Qui invece viene fuori la bravura del giocatore”, sottolinea Garnet. “Se fai un errore è colpa tua, se invece la fai giusta è merito tuo. Questo mi ha portato ad amare Street Fighter”.

Anche Vilardo ha cominciato a giocare a Street Fighter 5 “per caso”, come racconta lui stesso a THR Roma. “Ho visto il gioco e l’ho comprato. Mi ricordavo che Street Fighter 2 ai tempi mi piaceva. Così ho cominciato a giocare competitivo, prima giocavo molto a Fifa”.

Ma giocando al videogioco di calcio per eccellenza, Vilardo ha notato che l’assistenza al giocatore da parte del computer era “molto forte”. “In Street Fighter questo ‘aiuto’ non c’è. Tutto accade per una ragione, ed è matematica pura”. E aggiunge: “Ogni singolo movimento, ogni singolo pixel, è importante”.

Un'immagine di Street Fighter 6

Un’immagine di Street Fighter 6

Come nelle sale arcade

C’è una particolarità in questi tornei. Un dettaglio piccolo, ma in realtà molto importante: i controller che i giocatori utilizzano nelle partite non sono come i moderni “pad”. Normalmente, infatti, acquistando il videogioco – che sia Street Fighter o Tekken – la periferica utilizzata spesso è quella delle console casalinghe, quindi Xbox o PlayStation. Qui molti utilizzano i cosiddetti Arcade Sticks, cioè una periferica che ricorda i cabinati e le vecchie sale giochi.

“I picchiaduro sono nati con gli Arcade Sticks e richiedevano questa tipologia di controller perché far certe combinazioni di tasti e mosse era molto complicato,” spiega Vilardo. “Con questa periferica queste tecniche si possono fare”.

“Questo non rende un controller migliore di un altro”, aggiunge Parlangeli. “Io non ho mai vissuto l’epoca arcade,  ho frequentato poco le sale giochi. Ho iniziato con il controller classico, ma riscontravo diversi problemi”. Primo tra tutti, spiega Garnet, è il dolore al tunnel carpale: “Mi faceva malissimo”. “E inoltre a furia di giocare, si rompevano alcuni tasti, ed è un costo importante comprarne uno nuovo”.

E aggiunge: “Gli Arcade Sticks tolgono il problema alla mano, e a livello di spesa richiedono un investimento che dura per anni, poi si possono cambiare i singoli pezzi una volta che si usurano”. Ma questo, precisano entrambi, “non toglie la performance delle altre periferiche, ci sono anche giocatori professionisti che usano il controller classico”.

Vivere di e-sports

Ora Garnet volerà a New York, pronto per la fase internazionale del Red Bull Kumite, e osservando la sua parabola, è lecito domandarsi se in Italia, attualmente, si sopravvive economicamente giocando professionalmente ai videogiochi. La sua risposta è secca: “No”. E Geeck-O conferma.

Come riportato precedentemente da THR Romain Italia gli sport elettronici sono alla ricerca di una regolamentazione, mentre al ministero della cultura – in un incontro del 28 settembre 2023 – si è parlato dei modelli di regolamento francesi e spagnoli. “Abbiamo aperto un percorso di collaborazione e dialogo con le istituzioni per trovare una legislazione specifica”, aveva detto all’epoca Marco Saletta, presidente dell’associazione di categoria IIDEA

“Se la politica continua a non prendere in considerazione l’e-sports, e a considerarlo solo un giochino, allora anche in futuro sarà difficile vivere facendo il giocatore professionista”, sostiene Geeck-O.

Anche perché, aggiunge Garnet, “non ci sono solo i giocatori, ma ci sono anche gli organizzatori, chi sistema le luci, la telecronaca, la regia, chi gestisce la sala, girano soldi, c’è lavoro”. “Noi oltre a essere giocatori siamo anche turisti, perché comunque un giro a Roma uno se lo fa anche”, aggiunge il vincitore del torneo. “Tutto quanto è a favore”.