Cinquant’anni senza Bruce Lee, “filosofo dragone” che ha cambiato il cinema

Se ne andò a 33 anni il 20 luglio 1973: un campione di arti marziali, ma anche e soprattutto un attore vero, un intellettuale che ha trasformato l'immaginario globale. Ma non sempre è stato capito: l'ultimo sgarbo gliel'ha fatto Quentin Tarantino

Il 20 luglio del 1973 moriva Bruce Lee. Fu una brutta estate. Il 31 agosto sarebbe morto anche John Ford. Naturalmente la differenza è che Ford aveva 79 anni e Lee nemmeno 33, perché era nato a San Francisco il 27 novembre del 1940. Erano comunque due giganti, che ci mancano molto e che sono accomunati da un fatto per certi versi del tutto insignificante: lo scarso rispetto che dimostra per entrambi Quentin Tarantino. Siccome in fondo è una storia del cavolo, liberiamocene subito.

Nel suo libro uscito da poco per La nave di Teseo, Tarantino dà spesso del razzista e del noioso a John Ford, ma è un problema suo. Non ama i suoi film, noi fordiani sopravvivremo (e non cambieremo idea!). Il fatto che in C’era una volta a Hollywood Tarantino prenda in giro Bruce Lee è invece un problema un po’ più ampio. La scena “incriminata” è quella in cui Cliff Booth, il personaggio interpretato da Brad Pitt, si ritrova su un set con Bruce Lee (interpretato da Mike Moh) e lo sfida, dopo che Lee si è vantato di poter fare a pezzi Cassius Clay/Muhammad Alì in un ipotetico scontro. Come ricorderete, nella scena Lee fa una brutta fine, distruggendo tra l’altro la macchina del produttore.

Bruce Lee e il caso Tarantino

La scena è molto divertente e Pitt la interpreta in quel modo sornione che mantiene per tutto il film, dove è veramente bravissimo. Ma certo Lee fa la figura dell’idiota. La cosa non è rimasta senza conseguenze: la vibrata protesta di Shannon Lee, figlia di Bruce, ha provocato il blocco di C’era una volta a Hollywood in Cina (è uscito solo a Taiwan e in alcune sale di Hong Kong). Una bella botta per le aspirazioni commerciali del film.

Brad Pitt e Mike Moh in una scena di C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino

Brad Pitt e Mike Moh in una scena di C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino

Ma Tarantino non ha fatto marcia indietro. In varie occasioni pubbliche, ha detto che capisce e rispetta le obiezioni della figlia, ma che è ampiamente dimostrato che Bruce Lee avesse detto quelle spacconate su Alì (bella gara, a chi era più spaccone…) e che fosse odiato dagli stunt-men americani sul set di The Green Hornet, la serie tv alla quale fa riferimento la scena in questione. E se Tarantino afferma di rispettare l’opinione di Shannon Lee, ha molto meno rispetto per le proteste dei fans di Bruce, che l’hanno ricoperto di improperi: “Possono succhiarmi il cazzo”, ha detto pubblicamente. Sempre un Lord, il buon Quentin.

Parola chiave: Bapenza

Se ci permettete una divagazione, sul rapporto fra i campioni di Hong Kong e gli stunt-men americani abbiamo una testimonianza di prima mano. Anni fa avemmo l’onore di intervistare Jackie Chan, che di Bruce Lee è in qualche modo l’erede – almeno in termini di popolarità, perché come attore è molto diverso, ha una vis comica che Bruce non aveva.

Ci furono due momenti molto divertenti nell’intervista. Il primo, fu quando gli chiedemmo se c’era qualche cineasta italiano che conosceva. Lui rispose in cinese qualcosa come “Bapenza”, e anche l’interprete alzò bandiera bianca. Lo guardammo perplessi, lui capì che non capivamo e continuò a ripetere ridendo “Bapenza, Bapenza”, gonfiando le gote e i muscoli, come a farci capire che si trattava di una persona molto grossa.

Un collega accanto a noi ebbe un’illuminazione ed esclamò “Bud Spencer!”; Chan scoppiò a ridere, confermando: “Yes, Bapenza, Bapenza”, che sarebbe Bud Spencer in cinese. Ok. Poi gli chiedemmo della sua esperienza in America e lui disse: “Pessima. Gli americani credono di saper fare il cinema meglio di tutti ma non è così, e hanno delle regole sindacali rigide e assurde. Per girare in America dovevo utilizzare solo stunt-men americani. Ne rompevo tre al giorno! Non erano proprio capaci, al primo sconto con me finivano in ospedale. Ho dovuto dire alla produzione: o fate venire i miei stunt-men da Hong Kong, o il film salta”.

Capito perché, su The Green Hornet, gli stunt-men americani odiavano Bruce Lee? Nessuno era alla sua altezza, in America: tanto meno Cliff Booth! Era come se Maradona si fosse messo a giocare a pallone con dei ragazzotti yankee cresciuti con il baseball: li avrebbe ridicolizzati.

Il Tao del dragone

Lasciamo quindi Tarantino ai suoi amori e ai suoi odi, e spendiamo le ultime righe per ricordare che Bruce Lee non è stato solo un campione di arti marziali. In primis era un attore vero, con un viso espressivo e una moralità che emergeva dai suoi ruoli. Inoltre era un intellettuale. Per saperne di più cercate un suo libro, Il Tao del dragone (Mondadori, 2006). È una raccolta postuma di suoi scritti, perché Lee scriveva, ci sono parecchi libri a suo nome anche se sono quasi tutti assemblati dopo la sua morte. Per chi è addentro a questi temi, il libro non è una novità: è una riflessione su come le arti marziali cinesi siano molto legate alla filosofia, all’introspezione e all’auto-disciplina, e soprattutto siano sempre imperniate sul concetto (sia taoista, sia Zen) del rapporto allievo-maestro.

Il famoso Dalla Cina con furore (diretto da Lo Wei nel 1972) è in questo senso un capolavoro: tutta la trama nasce dalla morte misteriosa di un grande maestro, che il giovane Chen (Lee) deve vendicare. È sempre utile sottolineare che in originale il film si intitola Jīng Wǔ Mén, ovvero “La scuola Jing Wu”, assai meno cruento del titolo italiano. Sarà bene anche ricordare che nei primi anni ’70 i cosiddetti “film di kung-fu” ebbero un grande successo in Italia, ma che il maggior incasso nel nostro paese fu quello di Cinque dita di violenza, dove non c’è Bruce Lee.

Già allora, era forte il sospetto che i “coatti” italiani fraintendessero totalmente lo spirito di quei film, non comprendendone per nulla il sottotesto filosofico e prendendone spunto per andare in palestra a dare mazzate a destra e a manca. Sarebbe bello, a mezzo secolo dalla morte, riprendere la lezione di Bruce Lee capendola fino in fondo: cosa per la quale C’era una volta a Hollywood, ahinoi, non aiuta.