Il cacciatore, tutto il dolore del Vietnam in quella stanza di motel

Il capolavoro assoluto di Michael Cimino. Il contrasto tra le scene di vita quotidiana dei protagonisti e le immagini dalla guerra hanno fatto la storia del cinema. Ma è nella semplicissima scena di De Niro da solo nella camera disadorna che si racchiude il senso del film

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Michael “Mike” Vronsky (una delle massime vette dell’arte d’attore di Robert De Niro) è tornato dal Vietnam. Gli amici di sempre hanno preparato una festa, lui non ci va. Sta in un motel, da solo. Si siede sul bordo del letto e si mette una mano sulla fronte. Un gemito. Le lacrime. E’ una delle scene cruciali de Il cacciatore, il capolavoro assoluto di Michael Cimino. Dentro quei pochi istanti di film si concentra il senso, il dolore, il vuoto provocato da una guerra incomprensibile, la solitudine di chi è tornato, il dolore per chi non è tornato, lo sgomento per chi è rimasto a sfidare la follia giocando ogni giorno e ogni notte alla roulette russa, la compassione per chi è tornato mutilato.

Cinque premi Oscar

Il cacciatore (The Deer Hunter), realizzato da Cimino nel 1978, è uno di quei film che hanno definito il nostro modo di vedere il Vietnam: il contrasto la vita quotidiana, a tratti spensierata, dei protagonisti nella provincia americana, e le immagini terribili della guerra dall’altra parte del globo, ha fatto assurgere la pellicola nel pantheon universale del cinema mondiale. Nel 1979 il film ricevette ben 9 candidature ai premi Oscar vincendone alla fine cinque, tra cui quello per il miglior film.

Nel 1996 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America, mentre nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito al 79º posto della classifica dei cento migliori film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al 53º posto.

La tela di Penelope per Il cacciatore

Il regista, Michael Cimino, dovette dar battaglia ai produttori per realizzare Il cacciatore così come desiderava. Il regista ha dichiarato: “Tagliavano quello che volevano e di notte, come Penelope, ce lo rimettevo”. Nella fase di preproduzione, gli scout che scovarono le location ricoprirono oltre centomila miglia tra viaggi in aereo, in autobus e in automobile. Le riprese in Thailandia furono molto avventurose: durante le piogge torrenziali, gli attori dovevano salire sui tavoli per evitare i ratti giganti che nuotavano intorno a loro. Inoltre vi fu un colpo di Stato proprio durante la lavorazione, ma il Comitato Rivoluzionario garantì protezione alla troupe, assegnandole una guardia armata ogni tre persone.

Come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, Il cacciatore rientra di buon diritto nella categoria dei film leggendari: per le condizioni nelle quali è stato realizzato, per il risultato finale, per quello che continua a rappresentare nell’immaginario collettivo, facendo entrare la guerra del Vietnam nel subconscio dell’identità occidentale, una delle sue ferite aperte.