Antonia, la serie sul dramma dell’endometriosi (e sui trentenni in crisi): “La malattia è un’occasione per conoscersi”

Parla Chiara Martegiani, creatrice della serie disponibile su Prime Video dal 4 marzo: “Quando me l’hanno diagnosticata mi ricordo che piangevo in macchina tornando a casa”. Nel cast anche Valerio Mastandrea: “Il cinema deve saper raccontare la mascolinità fragile”

All’endometriosi ora un nome è associato: Antonia. No, non è il nome del chirurgo ginecologo americano John A. Sampson, scopritore della malattia nel 1927, che con una certa modestia ha saputo resistere al protagonismo del suo predecessore Falloppio e di altri esploratori uomini pronti a piantare la bandiera del loro cognome sull’inesplorata terra dell’anatomia femminile. Antonia è invece il nome della nuova serie dramedy con Chiara Martegiani e Valerio Mastandrea, in arrivo su Prime Video dal 4 marzo. Ideata da Chiara Martegiani, diretta da Chiara Malta e scritta da Elisa Casseri, Carlotta Corradi e Chiara Martegiani con la supervisione creativa di Valerio Mastandrea. Nel cast anche Barbara Chichiarelli, Emanuele Linfatti, Leonardo Lidi e Chiara Caselli.

“Antonia è un personaggio nato perché avevo l’esigenza di raccontare una crisi che ho vissuto”, racconta Martegiani a THR Roma. “Una crisi di identità, tra lavoro e relazioni, avevo trentuno anni e non sapevo che cosa volessi dalla mia vita. Lo stesso momento lo stavano vivendo in tante. Insomma, volevo parlare dei trentenni in crisi”. Poi, durante la fase creativa, un evento inaspettato è diventato predominante. “Mi è stata diagnosticata l’endometriosi. Allora insieme alle sceneggiatrici abbiamo pensato che fosse una grande occasione anche per la nostra protagonista, l’occasione di raccontare al pubblico la malattia e per Antonia di conoscersi sfruttando anche la psicoterapia”.

Antonia

Chiara Martegiani in una scena di Antonia

Antonia, la serie sull’endometriosi

Per il pubblico l’occasione di ri-conoscersi. Dato che tra le spettatrici, anche solo stando ai numeri della malattia, ci sarà chi potrà immedesimarsi. L’endometriosi, la patologia che comporta la crescita di un tessuto simile al rivestimento interno dell’utero (endometrio) anche al di fuori, colpisce, secondo gli ultimi dati del ministero della salute, 3 milioni di donne. Le forme della malattia sono diverse a seconda delle persone, ma il punto in comune resta il ritardo diagnostico: fino a 7 anni.

Quando Antonia lo scopre ha appena aperto gli occhi sul lettino di un ospedale dopo un piccolo incidente. Sbatte le palpebre sotto la luce al neon, fredda di pronto soccorso, “lei conosce l’endometriosi?”, ha le orecchie ancora un po’ ovattate, le parole del medico sembrano raggiungerla da lontano, “io le consiglio di fare un figlio”, gli dice con la voce che rimbomba. “Quando me l’hanno diagnosticata mi ricordo che piangevo in macchina tornando a casa”, racconta Martegiani. “Non avevo idea di che cosa fosse, mi avevano dato un depliant e spiegato che la cura non esiste, poi mi sono informata e ci ho fatto i conti, l’ho affrontata, anche con ironia, ma all’inizio ero sconvolta”.

La cura infatti non c’è. Con l’endometriosi si sta meglio senza mestruazioni, dunque o con una gravidanza o con una menopausa precoce. “O si diventa mamme o si smette di essere fertili, ci sembra quindi una buona sintesi della pressione sociale sulle donne e l’abbiamo voluta mettere al centro della serie”, spiega Valerio Mastandrea, che interpreta il compagno di Antonia, come nella vita vera, in cui lo è di Martegiani.

Antonia

Chiara Martegiani e Valerio Mastandrea in una scena di Antonia

Una mascolinità fragile

“Siamo ancora insieme felici”, scherza Mastandrea. “Far nascere dentro le mura di casa questo progetto è stato difficile, mostrarsi così tanto”, dice. “Abbiamo lavorato per creare l’uomo perfetto, straordinario, risolto, comprensivo, semplice”, così racconta il suo personaggio.

“Quando lei gli dice della malattia lui reagisce preoccupandosi subito, quando in un racconto diverso sarebbe stato facile farlo reagire al contrario, farlo scappare perché la malattia ha come principale rischio l’infertilità”. La serie invece prova a raccontare un maschio non stereotipato, in cui la fragilità non è una mancanza.

“Io sono trent’anni che interpreto maschi che non ce la fanno, ma purtroppo è vero che ancora oggi in molti ambienti prevale il potere maschile”, dice, “il cinema deve quindi affrontare ancora la complessità di genere”. Non perché va di moda ma perché è necessario. “Massimo Troisi è stato il primo a raccontare un maschio che perdeva, e non lo ha fatto per seguire una tendenza ma perché quel racconto è un modo per raccontare una mascolinità complessa”.

Da dove viene l’ironia

Non bisogna essere didascalici per parlare di malattia e di questioni di genere. Si può ridere di gusto. “Così ha preso forma una serie pop, colorata, movimentata ma assolutamente vera”, per dirla con le parole della regista Chiara Malta. “Volevo che dalle storture dei personaggi uscisse fuori la storia, è lì che c’è la verità”. Per rendere l’andatura mascolina, dura, “scassata” di Antonia “abbiamo comprato una pallina da mettere sotto alla camera e abbiamo dato alle scene l’instabilità del personaggio”.

Un tono ironico quasi necessario per quanto è reale. “Da donne è stato facile immedesimarsi nella vita di tutti i giorni di Antonia, tra lavoro, relazioni, raccomandazioni”, dicono le due sceneggiatrici Elisa Casseri e Carlotta Corradi. “La chiave non è nemmeno così prestabilita, è quello che ci è venuto, ricordando i fatti della vita”.

La compagna della protagonista infine è una gallina, allegoria del dolore che appare e scompare nella quotidianità. “La gallina ha in sé un simbolismo perfetto per la serie”, raccontano. “È un animale straordinario, è sia maschio sia femmina fino a sei mesi e poi, quando diventa gallina, subisce pressione ‘sociale’ per deporre le uova”. Un pollo altro non è che una gallina in potenza, solo che, come dice ad Antonia la prima terapeuta che incontra, “i polli non diventano galline perché li ammazzano prima”. Questo porterà Antonia a decidere di conoscersi ed evolversi, perché “se non si cambia si muore”.