La morte di Lee Sun-kyun di Parasite potrebbe portare ad una scossa della società coreana?

Il decesso del popolare attore, avvenuto il 27 dicembre e considerato un suicidio, ha messo sotto i riflettori l'attuale clima politico e sociale della Corea, con potenziali ripercussioni sullo status del paese come superpotenza globale

Nel dramma coreano My Mister del 2018, Lee Sun-kyun interpretava un uomo che sembra avere tutto – una carriera stabile, il rispetto dei colleghi e una famiglia affettuosa – ma che in realtà è schiacciato dalla pressione sociale dovuta al fatto di occuparsi dei suoi cari e dei suoi dipendenti, mentre si trova ad affrontare un’estorsione e i sospetti di una relazione sul posto di lavoro.

Afflitto da un’indole malinconica, a un certo punto si imbatte in alcuni binari del treno e medita sulla possibilità di sdraiarcisi sopra. Si tratta di un pensiero fugace, ma un momento toccante nella serie, che ha vinto il premio come miglior dramma ai Baeksang Arts Awards e ha rappresentato un punto culminante nella notevole carriera di Lee.

Il fatto che Lee – uno degli attori coreani più popolari, che con Parasite si è guadagnato la fama mondiale – fosse coinvolto in uno scandalo nella vita reale era quasi impensabile. Era sposato (con l’attrice Jeon Hye-jin) praticamente da quando è diventato famoso, con due figli e una reputazione integerrima – esattamente in linea con ciò che la società coreana richiede alle sue celebrità. A ottobre, però, si è diffusa la notizia che era indagato per uso di droghe a scopo ricreativo, una pratica illegale in Corea.

Negli ultimi due mesi si è sottoposto per tre volte a interrogatori della polizia, mentre ogni dettaglio del caso, che includeva conversazioni trapelate con una escort e la controdenuncia di Lee secondo cui era stato ingannato e ricattato per l’assunzione di droghe illegali, veniva sviscerato senza sosta dai giornali e dai social media. Tre giorni dopo essere stato rilasciato dal terzo interrogatorio – durato 19 ore e terminato alla vigilia di Natale – Lee è stato trovato morto nella sua auto in seguito a un apparente suicidio.

Il pretesto per una riflessione collettiva

La sua morte ha messo sotto i riflettori l’attuale clima politico e sociale della Corea. Ad aprile, il presidente conservatore Yoon Suk Yeol, eletto nel maggio 2022 e paragonato dai suoi oppositori a Donald Trump, ha dichiarato una “guerra alle droghe”, il cui uso è già altamente stigmatizzato nella cultura coreana. Nel 2023 la polizia ha arrestato 17.152 persone per reati legati alla droga – con un aumento del 38,5% rispetto all’anno precedente – ma sono stati gli intrattenitori accusati ad attirare la maggiore attenzione, spesso su incoraggiamento o almeno con l’aiuto delle forze dell’ordine. Lee è stato indagato nell’ambito di un’inchiesta che riguardava otto persone, ma il suo nome era quello che occupava le prime pagine dei giornali.

Ogni volta che veniva convocato al commissariato si trovava davanti alla photo line, una pratica coreana in cui un sospetto o una persona di interesse affronta le telecamere e le domande della stampa prima o dopo essere entrato nella stazione di polizia. “Questa pratica, priva di fondamento giuridico, ha suscitato grande scalpore nell’opinione pubblica per il fatto che la procura se ne sarebbe servita per mettere in imbarazzo e svergognare i sospettati”, ha scritto Park Moo-jong, consigliere del Korea Times, in un articolo del 2019 in cui sosteneva che la pratica violava i diritti umani.

“Far stare i sospettati, soprattutto i pezzi grossi della società, sulla photo line non è diverso dal far trapelare fatti non confermati su presunti crimini che possono alimentare i pregiudizi della gente”. Dopo la morte di Lee, i funzionari di polizia hanno rivelato che egli aveva chiesto che il suo terzo interrogatorio non fosse aperto alla stampa, e che la richiesta era stata respinta.

Oltre alle potenziali pesanti sanzioni penali (che vanno da sei mesi a 14 anni di carcere), l’uso di droghe comporta anche conseguenze professionali e sociali in Corea. Nel mondo dello spettacolo, anche solo le accuse di azioni disdicevoli hanno causato l’allontanamento di idol del K-pop dai loro gruppi. Non appena si è diffusa la notizia dello scandalo, in ottobre, Lee si è ritirato dalla serie drammatica che aveva appena iniziato a girare.

Il fatto che Lee abbia presumibilmente preso una misura così drastica in risposta al presunto uso di marijuana e ketamina (oltre che all’infedeltà coniugale) può essere difficile da comprendere per chi proviene da un Paese in cui la cannabis (anche se ancora oggetto di procedimenti penali sproporzionati tra i neri d’America) è legale in molti Stati e persino presa in considerazione come parte della “cultura dello stoner”, e in cui le vicende delle celebrità sono generalmente trattate come scandali di ordinaria amministrazione.

Ma la Corea ha il più alto tasso di suicidi pro-capite tra i Paesi sviluppati (24,6 per 100.000 persone) e i suoi personaggi pubblici non sono immuni: l’ex presidente Roh Moo-hyun si è suicidato nel 2009 dopo che le accuse di corruzione avevano minacciato di infangare la sua immagine, mentre numerosi artisti K-pop si sono tolti la vita dopo aver combattuto pubblicamente e privatamente contro la depressione, le molestie e la vita sotto i riflettori.

La tragedia di Lee Sun-kyun come evento scatenante

Lee Sun-kyun (a sinistra) in una scena di Parasite

Lee Sun-kyun (a sinistra) in una scena di Parasite

Ciò che è unico nella scioccante tragedia di Lee Sun-kyun è che potrebbe rappresentare un particolare tipo di resa dei conti per la miriade di fattori politici e sociali che hanno portato alla sua morte. Data la sua statura nell’industria dell’intrattenimento coreana e la crescente importanza sulla scena internazionale, il suo destino potrebbe avere un effetto raggelante sulla percezione della Corea del Sud come mecca culturale e artistica da invidiare – e con cui fare affari.

Ad aprile, il presidente Yoon si è recato in visita negli Stati Uniti, dove ha incontrato i massimi dirigenti di Netflix, tra cui il co-CEO Ted Sarandos. In quell’occasione, Netflix ha presentato un piano per spendere 2,5 miliardi di dollari per produrre contenuti coreani nei prossimi quattro anni.

Anche Disney, Apple e Amazon hanno investito molto in contenuti coreani e lo stesso Lee sarà protagonista della prima serie originale in lingua coreana di Apple TV+ nel 2021. A Hollywood, ci vuole molto per mettere in panchina un attore: si pensi ai livelli di dipendenza di Robert Downey Jr. prima di Iron Man o alla condanna per aggressione di Jonathan Majors (tuttavia, se sei Ezra Miller, il tuo lavoro è ancora al sicuro).

Ma quando all’inizio di quest’anno l’attore Yoo Ah-in (noto sulla scena cinematografica internazionale soprattutto per aver recitato al fianco di Steven Yeun in Burning del 2018) è risultato positivo a diversi test antidroga, Netflix ha dovuto sostituirlo per la seconda stagione del suo dramma soprannaturale Hellbound e ha rimandato al 2023 l’uscita di altri due progetti coreani di cui doveva essere protagonista, The Match e Goodbye Earth, che ad oggi non sono ancora disponibili sulla piattaforma.

L’idea che un progetto possa deragliare a causa della violazione di una clausola di moralità da parte di un attore, e che l’accusa di averla violata possa portare a conseguenze fatali, potrebbe far riflettere gli Studios hollywoodiani prima di intraprendere ulteriori affari con la Corea.

La possibilità di nuove riforme

Ma ci sono dei segnali che indicano che il caso di Lee potrebbe portare a un qualche tipo di riforma, spinta dallo scrutinio sia all’estero che in patria. Nei giorni successivi alla sua morte, alcuni organi internazionali, tra cui il New York Times, la Bbc e la Cnn, hanno pubblicato commenti sulle severe politiche coreane in materia di droga e sul modo in cui le forze dell’ordine, i media e il pubblico trattano le celebrità.

A livello nazionale, la polizia coreana si è trovata a dover difendere la gestione del caso Lee, in particolare la mancanza di privacy che gli è stata accordata. Il servizio funebre privato dell’attore ha visto la partecipazione di colleghi di primo piano – tra cui il regista di Parasite Bong Joon-ho e la star di Squid Game Lee Jung-jae – mentre i fan hanno scritto tributi a lui fuori dalle pompe funebri e online.

Durante gli strazianti ultimi due mesi di vita di Lee, c’è stata un’altra persona che forse avrebbe potuto capirlo. In ottobre la megastar del K-pop G-Dragon è stata arrestata dalla polizia due giorni dopo Lee e anche lui è stato sottoposto a molteplici test antidroga, interrogatori e corse al foto-segnalamento. La polizia ha però chiuso il suo caso all’inizio del mese, adducendo prove insufficienti.

In risposta, l’artista ha annunciato di voler spendere 300 milioni di won (230.000 dollari) per lanciare una fondazione che aiuti a combattere l’abuso di droghe e a curare le dipendenze. Si tratta di una sfida da parte di G-Dragon, ma anche di una mossa socialmente significativa, che ricorda il lavoro del compianto Matthew Perry per destigmatizzare la dipendenza da sostanze, ponendo l’accento sulla riformulazione della condizione come malattia e sull’aiuto a chi ne è affetto.

Se questi sforzi avranno successo, potrebbero aiutare a riconciliare la mentalità sociale della Corea con le sue ambizioni culturali, creando un terreno più stabile per le sue prospettive commerciali internazionali e un ambiente in cui un talento in una situazione similare a quella di Lee Sun-kyun può sperare in un esito migliore.