In Barba a Tutto, il ritorno dell’indigeribile Luca Barbareschi 

Al grido di “non si può più dire niente”, l'attore e regista è tornato su Rai3 dopo tre anni di assenza con un talk in cui si prende la libertà di dire qualunque cosa, con sconcertante superficialità

Attore, regista, produttore televisivo e cinematografico, autore, conduttore, sceneggiatore, direttore artistico, scrittore, imprenditore, ex deputato della Repubblica Italiana. Nato a Montevideo in Uruguay e cresciuto a Milano, Luca Barbareschi ha fatto di tutto nel corso della propria esistenza, facendosi ricordare soprattutto per la propria rivendicata antipatia, da due settimane tornata in onda nell’indifferenza più o meno generale in terza serata su Rai3 con In Barba a Tutto, talk show domenicale visto la prima volta nel 2021 e presto archiviato.

Nessuno ne aveva mai sentito la mancanza se non il diretto interessato, che dopo tre anni è tornato a condurre una trasmissione cavalcando il solito vecchio mantra: “A causa del politicamente corretto non si può più dire nulla”. Per poi dire qualunque cosa gli passi per la testa.

L’antipasto del 2021

In quel 2021, nel corso di una puntata Barbareschi parlò di “una nuova guerra epocale. Il mondo delle lesbiche, il mondo delle donne omosessuali, non so più come chiamarle perché come fai sbagli, e degli omosessuali. Il vero scontro è tra di loro. La parte femminile vuole uccidere l’egemonia della mafia degli omosessuali. Non ho capito per cosa, forse perché hanno un’altra mafia delle omosessuali femmine. È un gran casino”.

Un monologo semplicemente senza senso.  Poche settimane prima, a TvTalk, disse che “oggi è più seguito un LGBT che una famiglia normale, purtroppo è così perché fa notizia. Tu puoi essere un trans, metterti i tacchi, puoi fare quello che vuoi, ciò non toglie che tu sia un uomo”. Tre anni dopo, incredibile ma vero, nella Rai a trazione meloniana hanno ben pensato di riaffidare a Barbareschi uno spazio tv tutto suo, in cui ricominciare a sproloquiare senza particolare costrutto.

Non avere cognizione di sé

In Barba a Tutto si presenta ufficialmente come “talk show spiazzante, ironico, controcorrente, pop, alto e libero”, quando si vuol dire avere basse considerazioni di sè, se non fosse che non abbia nulla di tutto questo. È tremendamente scontato, è boomer se non a tratti cringe, non conosce l’ironia, è indubbiamente libero ma di occupare Rai3, si sforza enormemente nel partorire parentesi culturali e non è affatto controcorrente, cavalcando argomenti che le destre di mezzo mondo, Italia in testa, portano avanti da anni.

Lo studio tv ricorda un loft newyorkese, con un bancone, una band onnipresente che non smette mai di suonare, due poltrone e un pubblico chiaramente plaudente a comando.

L’Io della prima puntata

Nella prima puntata del 14 dicembre Serena Rossi è stata la prima ospite di questa nuova edizione. Intervista eufemisticamente parlando molto poco attrattiva da parte di Barbareschi, intramezzata dall’intervento poco affine dell’imprenditore digitale Matteo Flora, prima di domandare all’attrice di cantare Almeno tu nell’Universo di Mia Martini, interpretata dalla stessa Rossi in una fiction Rai, e accogliere il giovane cantante Andrea Settembre da X Factor.

A quel punto il conduttore si è concesso il solito monologo vittimistico sulla cancel culture citando gratuitamente Dostoevskij e Rostand con Cyrano de Bergerac, prima di introdurre Vera Gemma, 2a e ultima ospite di puntata. L’attrice ha ricordato il proprio passato da circense, di domatrice di leoni, con l’egoriferito Barbareschi incapace di ascoltare e immediatamente pronto ad interromperla, perché interessato a far sapere al pubblico che ha una “figlia che gioca con il fuoco”.

“Adesso passiamo da un discorso ad un altro”, la vagamente polemica replica di Gemma, più volte interrogata sui suoi ritocchi estetici, e su quei genitori che costrinsero lei e sua sorella, ancora minorenni, a rifarsi il naso.

La gratuita transfobia

E qui Barbareschi, dal niente, ha intrapreso una strada ambigua, delicata, trattata con estrema superficialità, grondante transfobia. “Ci sono genitori che hanno cambiato il sesso ai propri figli”, ha gettato il sasso nello stagno il conduttore, come un qualsiasi Simone Pillon in un convegno di Pro Vita e Famiglia. “In America hanno deciso che un ragazzino di 12 anni può cambiare sesso. E ora ci sono le prime denunce, con i figli che fanno causa ai propri genitori dicendo loro “non hai capito che ero troppo piccolo per prendere simili decisioni?”.

Gemma ascolta visibilmente stranita, tanto da replicare “io adoro le donne trans, non mi toccate le donne trans”.  Barbareschi mette subito le mani avanti ricordando di aver prodotto e interpretato nel 1982 Summertime di Massimo Mazzucco, “il mio primo film con cui ho vinto il Festival di Venezia era la storia di un trans, non ho preconcetti”, per poi raccontare una tremenda storiella con protagonisti due genitori contadini e una figlia trans, che lui avrebbe conosciuto non si sa come né quando.

Il conduttore parla di “opere di ristrutturazione del passaggio da uomo a donna”, di passaggio ”di gender da un lato all’altro”, di un “figlio, figlia, lgbtqia slash tutte le sigle che ci sono”, con “lei lui che sposa una donna perché si sente ancora uomo in quanto attivo” e il padre contadino ”che si lamenta perché “se solo l’avesse. saputo prima avrebbe evitato di vendersi il bestiame per pagare gli interventi al figlio/figlia”.

Il conduttore fuori posto

Una specie di barzelletta transfobica di berlusconiana memoria, sulla vita di persone che esistono, che non sono animali da circo da deridere sulla tv pubblica, con una pochezza di contenuti e una credibilità sull’effettiva veridicità dell’aneddoto che lasciano di stucco. “Ci sono persone innamorate di un lampadario, ora devi accettare tutto”, insiste Barbareschi prima di cedere la parola ad una psicologa, Ilaria Albano, che al cospetto di tante castronerie non batte ciglio, limitandosi a sorridere e a cambiare discorso.

Nel condurre In Barba a Tutto Barbareschi appare completamente fuori luogo nel prendere di petto qualsivoglia discorso, argomento, in difficoltà linguistica nell’esplicitarlo, grossolano nei contenuti e nel modo in cui li esprime, cercando di essere simpatico con ampi e ripetuti sorrisi che trasudano tutt’altro, ovvero insincerità, senza mai suscitare reale ilarità.

Lo zucchero nel cuore

Nella seconda puntata di domenica 21 gennaio, con ospiti Alessandro Preziosi, la cantante Nausicaa, la fisica Gabriella Greison e la mental coach Nicoletta Romanazzi, Barbareschi ha reinserito il medesimo disco della settimana precedente, citando ancora una volta Cyrano de Bergerac al cospetto di un gobbo platealmente letto e al grido “io amo essere odiato”.

Dopo aver consigliato a caso alcuni libri gettati sulla scrivania, perché non sei nessuno se se stai su Rai3 senza proporre letture, è arrivato l’ennesimo ridondante monologo contro “la cancel culture, la woke culture”, perché “negli anni ’70 eravamo liberi di poter dire tutto quello che volevamo, si poteva leggere Ovidio, mentre oggi le Metamorfosi sono proibite nelle università d’America”.

Stigmatizzato in più occasioni chi osa criticare, perché in una trasmissione che rivendica il voler e poter dire tutto la disapprovazione ai propri danni non è evidentemente particolarmente apprezzata, Barbareschi si è augurato di lasciare “un po’ di zucchero nel cuore, un po’ di bello, di piacevole” con il suo talk, da lui definito “appuntamento di serenità, in barba a chi ha l’abitudine di parlar male degli altri”.

Auditel e Usigrai all’attacco

Un vero e proprio visionario cortocircuito in arrivo da chissà quale multiverso televisivo, soprattutto se a pronunciarlo è proprio Luca Barbareschi, con l’Auditel che ha sentenziato. La prima puntata è stata vista da 624.000 telespettatori, pari al 5.4% di share, mentre la seconda è precipitata ai 500.000 telespettatori, pari al 4.5% di share. In sette giorni si è perso per strada un punto secco di share e il 20% dei telespettatori.

Nel frattempo, Cdr e Unione sindacale giornalisti Rai (Usigrai) hanno diramato un comunicato stampa di fuoco nei confronti del conduttore, definito “arrogante e maleducato” per aver incredibilmente redarguito la giornalista dell’Ufficio stampa Rai che ha osato interromperlo per porgli una domanda nel corso della conferenza stampa di lancio della serie La lunga notte: la caduta del Duce, da lui prodotta. “Lei deve solo introdurre, le domande le fanno i giornalisti”, l’insostenibile risposta di un Barbareschi che adora “essere odiato”, da sempre, ma ancora lì sta, incredibilmente su Rai3, in barba ad un minimo di buonsenso.

Il programma della settimana è stato Splendida Cornice, su Rai3