Un “genio rinascimentale” da Spider-Man a rapper di fama mondiale: Donald Glover può essere tutto. E vuole essere tutto

Cantante, autore, produttore, regista, attore: un talento sfaccettato che conclude il 2023 con l'ingresso nella stagione di premi della sua (sottovalutata) serie horror Sciame, in attesa del remake di Mr. and Mrs. Smith. E alle spalle il caso Atlanta, quattro stagioni che sono il suo spazio di libera sperimentazione. Ritratto di una star fuori da ogni schema

Si dice che abbia il genio rinascimentale, Donald Glover, quel talento assoluto in ogni cosa che lo rende un artista eclettico, incapace di soffermarsi su una sola attività, continuamente in cerca di sfide personali e professionali. Rapper, cantante, produttore, sceneggiatore, comico, attore (e persino modello per il “nuovo” Spider-Man, Miles Morales), Donald Glover non ama le etichette e fugge ogni volta che si prova ad affibbiargliene una definitiva. Conclude il 2023 con una delle sue ultime follie, la serie Sciame che entra nella stagione dei premi, con già oltre 15 nomination tra cui due agli Emmy.

Il prodotto comico-satirico-horror-thriller (che già nell’impossibilità di farsi definire con un solo aggettivo dà l’idea di quanto sia contorto e complesso il processo creativo di Glover) è il primo risultato di un accordo dell’artista con gli Amazon Studios, che proseguirà a febbraio 2024 con l’adattamento televisivo di Mr. and Mrs. Smith, in cui lui stesso recita anche nella parte del protagonista maschile.

E mentre sembra aver lasciato intendere, senza dichiarazioni ufficiali, che potrebbe tornare alla musica con un quinto album in studio, che non firmerebbe più con l’alter ego Childish Gambino, si prepara al nuovo anno anche con il progetto e la sceneggiatura di un film dell’universo di Star Wars, basato sul personaggio di Lando Calrissian, da lui interpretato nel 2018 (Solo: A Star Wars Story).

Maya Erskine e Donald Glover

Maya Erskine e Donald Glover in una scena di Mr. and Mrs. Smith. Courtesy of Prime Video

Un destino segnato: Donald Glover e la tv

Nato in una base militare vicino Los Angeles nel 1983, Donald Glover è cresciuto al sud degli Stati Uniti, in Georgia, in una famiglia di testimoni di Geova che raramente gli permetteva di guardare la televisione. Forse anche per questo la sua creatività è esplosa, insieme al desiderio di rompere gli schemi e le rigidità della sua educazione.

Da ragazzo guardava di nascosto i Simpson: e proprio una sceneggiatura che scrisse pensando alla serie animata di Matt Groening contribuì a renderlo visibile nel mondo degli autori televisivi. Sì, perché il bambino che non aveva il permesso di accendere la tv, al college andò direttamente a iscriversi al corso di scrittura televisiva della New York University. Quasi prevedibile.

Inaspettato, invece, è stato l’immediato successo di Donald Glover che, ancora all’ultimo anno di studi, poco più che ventenne aveva già pubblicato i primi EP come rapper, si era fatto notare online come autore nel gruppo comico Derrick Comedy – nato proprio all’Nyu e arrivato fino al Sundance Film Festival con il lungometraggio Mystery Team – ed era diventato assistente sceneggiatore della sit-com 30 Rock, dopo aver attirato l’attenzione della showrunner Tina Fey.

Ce l’aveva già fatta, a 23 anni. Prima ancora di finire la scuola aveva già un lavoro stabile in una delle emittenti maggiori degli Stati Uniti (Nbc), sotto l’ala di una delle autrici e attrici più influenti del panorama statunitense, che lo trovava così divertente e di talento da affidargli anche piccole parti nella serie, una delle più seguite e più famose a metà degli anni Duemila. Quando potrebbe fermarsi, tuttavia, Donald Glover accelera. E questa è una costante di tutta la sua carriera.

Community, il salto della carriera di Glover

Così prende un aereo verso Los Angeles e lì inizia il suo percorso nella serie Community di Dan Harmon. Il personaggio di Troy Barnes cresce insieme a lui fino a sovrapporsi alla persona reale. Gli autori lasciano diventare gradualmente Glover sceneggiatore di se stesso, scrivendogli sempre meno battute: perché in ogni caso, dicono, lui riesce sempre a improvvisare quella giusta per ogni scena. Nel 2013, Community diventa di nuovo un abito troppo stretto e Glover abbandona la produzione a metà della penultima stagione.

Deve inseguire le sue visioni, afferma pubblicamente con lunghe lettere di scuse anche al pubblico, così in quello stesso anno, 2013, inizia a lavorare a un progetto multimediale: cinematografico e discografico. Con l’uscita del secondo album in studio, Because the Internet (firmato come Childish Gambino) pubblica infatti una sceneggiatura di 72 pagine e un cortometraggio, diretto da Hiro Murai e intitolato Clapping for the Wrong Reasons. Un’opera surreale ed esistenzialista, in cui diventa sempre più chiara la sua ricerca dell’assurdo e la convinzione che non esista davvero un senso da trovare in ogni cosa.

Il senso, nell’estetica di Glover, è solo nella ricerca stessa, nella stimolazione del pensiero che le immagini creano o nella frustrazione di fronte a situazioni quotidiane irrilevanti o prive di uno scopo. Tre anni dopo, questo stesso nucleo tematico-filosofico, moltiplicato infinite volte, diventa Atlanta, la serie di cui Glover è produttore, sceneggiatore, co-protagonista e occasionalmente regista, sostituendosi al fedele Murai in alcuni episodi.

Donald Glover in una scena del sesto episodio della seconda stagione di Atlanta: la parodia-horror di Michael Jackson

Donald Glover in una scena del sesto episodio della seconda stagione di Atlanta: la parodia-horror di Michael Jackson. Courtesy of FX/Disney+

Atlanta: Donald Glover al 100%

Atlanta è lo spazio libero di sperimentazione di Donald Glover. Nasce come serie autobiografica basata sugli anni del suo debutto come giovane rapper in Georgia, ma presto mostra una forte componente onirica, visionaria e imprevedibile, oltre le regole del reale. Nella serie Glover mette tutto se stesso e si divide in tre personaggi: interpreta solo Earn, il cugino-manager-tuttofare, l’hustler, mentre dà a Brian Tyree Henry il ruolo del rapper focalizzato sulla carriera e a Lakeith Stanfield il ruolo del joker matto, l’elemento più assurdo di una serie già assurda in sé, capace di raccontare con brutale onestà la condizione afroamericana contemporanea e al tempo stesso sembrare la rappresentazione di un trip allucinogeno in cui è difficile distinguere i piani di realtà e non resta che fidarsi della visione di Glover.

La prima stagione di Atlanta debutta nel 2016, seguita dalla seconda stagione nel 2018. Poi, il silenzio assoluto per 4 anni e all’improvviso altre due nuove stagioni a distanza di pochi mesi, con la quarta e ultima che si conclude a novembre 2022. In quell’assenza c’è di nuovo molto del senso di ciò che fa Donald Glover e di come lo fa: segue i suoi tempi, sparisce per anni e torna con nuove idee, nuove sperimentazioni, quando meno lo si aspetta. Nel frattempo fa uscire nuova musica, vince Grammy, si dedica al cinema, non si ferma mai, anche quando non è visibile.

Il “passaggio obbligato” al cinema

Dopo aver provato a esprimersi attraverso la musica e la televisione, il cinema diventa quasi un passo obbligato, ma ancora una volta Glover lo fa alle sue condizioni. Dopo alcuni piccoli ruoli dal 2011 al 2015, nella seconda metà dei nostri anni Dieci entra in due dei maggiori franchise cinematografici del momento: Spider-Man (Sony/Marvel) e il già citato Star Wars, su cui è ancora al lavoro con il fratello Stephen per una nuova sceneggiatura.

La sua più lunga storia d’amore (professionale) è quella con l’Uomo Ragno, iniziata da una scena del primo episodio della seconda stagione di Community, in cui Glover indossa un pigiama di Spider-Man e poco tempo dopo scrive su Twitter di voler arrivare almeno al provino per l’allora nuova saga cinematografica (ruolo poi andato ad Andrew Garfield). L’hashtag #donald4spiderman diventa virale, ma ancora prima quella breve scena in pigiama nel 2011 ispira il fumettista Brian Bendis a creare il personaggio di  Miles Morales, a cui in effetti Glover presta anche la voce nel 2012 nella serie animata Ultimate Spider-Man.

Donald Glover in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse

Donald Glover in una scena di Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023). Courtesy of Sony/Prime Video

Nel 2017 ha un ruolo apparentemente trascurabile nello Spider-Man: Homecoming con Tom Holland, in cui interpreta Aaron Davis, ma i fan più attenti capiscono già dal nome che si tratta dello zio di Miles Morales, il Prowler, che si ripresenta in un cameo “in costume” proprio in Across the Spider-Verse (2023), chiudendo un cerchio aperto oltre dieci anni prima.

In questo film d’animazione Glover presta eccezionalmente le sue sembianze “live-action” ma in generale è la sua voce che al cinema è più presente del suo volto. Come nel caso di The Lion King, la nuova versione Disney de Il re leone in cui interpreta Simba anche nelle parti cantate, accreditato come Childish Gambino, perché accanto a Beyoncé, Jay-Z e altri grandi nomi della musica africana e afroamericana contemporanea.

E tra cinema e musica Glover/Gambino si diverte a sfidare ancora una volta pubblico e critica. Come dimenticare, infatti, che la sua hit Redbone apre il film-fenomeno di Jordan Peele, Scappa – Get Out? E che non esiste, per contrasto ed esplicita decisione dell’artista, un video ufficiale di quel singolo.

Solo un’immagine: la cover del terzo album in studio, Awaken, My Love!, un volto nero a metà fra umano e maschera africana, con gli occhi bianchi, rivoltati e assenti, contratta in una smorfia fra l’estasi e il dolore. Un’immagine evocativa e disturbante, che non ha bisogno di altro, in opposizione invece al video-manifesto di This is America, pubblicato solo due anni dopo nel 2018.

Diretto sempre da Hiro Murai, This is America è in realtà un cortometraggio che rispecchia e chiude un altro cerchio aperto da Clapping for the Wrong Reasons. Questa volta però protagonista non è una realtà surreale e priva di senso, bensì i fatti di cronaca e di razzismo sistemico: dalle sembianze di Glover/Gambino che imita Jim Crow fino al riferimento al massacro della chiesa di Charleston (il coro gospel di 9 persone, cioè le 9 vittime, alle spalle di Glover nel video).

Musica e immagini, immagini e musica si intrecciano e si completano. Non sono mai davvero distinguibili nel lavoro e nell’estetica dell’artista che, non a caso, collabora in ogni progetto da oltre dieci anni con il compositore premio Oscar Ludwig Göransson.

L’onnipresenza della musica per Glover

Qualsiasi sia il campo di sperimentazione, la musica lo accompagna sempre seguendo la sua evoluzione. Lo dimostra il fatto che tra un pausa e l’altra fra i suoi quattro album il rapper abbia continuato a pubblicare EP (EP, Kuai e Summer Pack) inediti in cui far confluire nuove visioni e nuove direzioni della sua ispirazione prima di arrivare ai progetti discografici completi. E lo dimostra anche la natura diversa di ognuno dei suoi quattro dischi in studio.

Camp (2011), è il suo rap nella forma più grezza e più seria, ispirata a Kanye West e ai Wu-Tang Clan, da cui nasce anche lo pseudonimo Childish Gambino. È un album che arriva dopo numerosi mixtape, alcuni fatti sparire dallo stesso artista, come The Younger I Get (2005), oggi introvabile. Because the Internet (2013) è già un album più raffinato, non solo perché riceve la prima nomination ai Grammy ma perché ha dietro un progetto più ampio, estetico, che si accompagna appunto ai videoclip, come quello del singolo 3005 e al corto di Murai.

Awaken, My Love! (2016) è invece una sterzata verso tutt’altro genere, una sfida oltre gli schemi del rap e della trap, su basi musicali funk-soul più articolate e complesse. Oltre Redbone basti pensare all’inaspettato attacco rock di Me and Your Mama. L’album 3.15.2020 infine riflette la natura indecifrabile di Childish Gambino: dai suoni elettronici, quasi non umani, di Algorhythm fino alla scelta di un “white album”, senza copertina e senza i nomi delle tracce, come un lungo flusso di coscienza che appunto prende il secondo nome di Donald Glover Presents. Il progetto, lanciato su un apposito sito web proprio nella data che gli dà il titolo (15 marzo 2020) è quello in cui le due identità dell’artista convergono e Childish Gambino viene salutato (si pensa) per sempre, per lasciare soltanto spazio a Glover. Qualsiasi sia la sua prossima mossa.