Prima delle pagelle, sappiamo tutti perché la ricorderemo questa cerimonia degli Oscar 2024. Per due motivi. La velocità e la prevedibilità. Sostanzialmente il ricordo che il 95% degli uomini lasciano alle loro (o ai loro) partner. Non proprio un bel biglietto da visita.
È l’edizione che quieterà molti appassionati e critici perché risarcisce Christopher Nolan, che con Oppenheimer corona una carriera da predestinato, arrivando dove pensava con i capelli argentati. Sarà la serata che passerà alla storia per uno dei numeri musicali più amati nella storia dell’Academy, I’m Ken, con un Ryan Gosling a cui dovevano dare un Oscar perché è Ryan Gosling.
Ryan Gosling 10 e lode
Già un uomo che riesce a far ridere così Margot Robbie – quasi sorpresa dalla presenza canterina dietro di sé – è un essere umano che rasenta la perfezione. Ma Ryan decide di strafare, per look, occhiali da sole, messa in scena di sé e della canzone, capacità di rapire i colleghi in una spirale di divertimento e ammirazione.
Il suo numero cantato è il trionfo di chi è partito dalla gavetta, ha sbagliato pochissimo, non ha mai avuto paura di rischiare, che fosse con Winding Refn o con Greta Gerwig (che in sede di candidatura, probabilmente giocando così la statuetta, ha difeso dichiarando che per la mancata nomination per regista e protagonista femminile di Barbie dire “che sono deluso è un eufemismo”).
Vi diciamo solo che le coreografie sono state da urlo, c’era Slash, Gosling a metà canzone ha preso per mano il cameraman per farne la sua steadycam personale. C’è chi prende a schiaffi Chris Rock e chi tutto il resto del mondo (e chi non l’ha votato) con il proprio talento.
You are just Ryan.
Slash joins Ryan Gosling during his performance of “I’m Just Ken” at the 2024 #Oscars pic.twitter.com/fPAFwiCQuI
— The Hollywood Reporter (@THR) March 11, 2024
Mstyslav Černov 10
“Vorrei non aver fatto questo film, vorrei non aver mai vinto questo Oscar e che la Russia non avesse mai invaso l’Ucraina. Scambierei con la pace questa statuetta anche subito”. Il primo Oscar ucraino va a un premio Pulitzer che lo ritira terreo in volta e dicendo parole belle, essenziali, dolorose come il suo film.
Emma Stone e Cillian Murphy 9
Solare, gesticolante come una Dea Calì impazzita, irresistibile lei. Composto, con i capelli così pettinati da sembrare un parrucchino, pieno di stralunato talento lui, che non ha social e un pizzico di mondanità neanche a pagarlo.
Da tempo sono i migliori in quello che fanno e di sicuro hanno reso iconici i loro personaggi. La miglior attrice probabilmente era Sandra Huller – soprattutto se avesse potuto sommare i voti dei due capolavori che ha interpretato (Anatomia di una caduta e Zona d’interesse) – ma il personaggio femminile dell’anno è Emma Stone, spudoratamente brava sin da quando ha incontrato una macchina da presa e ci ha irrimediabilmente conquistato. Così come quando ha detto che ha rotto il vestito ballando sulle note di I’m just Ken, omaggiando il sodale di La La Land, Ryan. Gosling.
Ha vinto Bella Baxter, così tanto, che l’hanno voluta omaggiare pure per come era truccata e vestita gli Oscar.
Murphy di contro ha persino un momento di imprevedibilità quando con impeto (si fa per dire) d’orgoglio si proclama un uomo irlandese. Bravi, bravissimi, unici. Tanto da battere pure il politicamente corretto.
Bradley Cooper 8
Dodici nomination, undici anni, nessun Oscar. Molti altri avrebbero mantenuto un aplomb diverso. Lui va alla serata con la mamma, sorriso di circostanza d’ordinanza – un po’ stanco e contratto, va detto -, si affretta a congratularsi con il vicino di poltrona Cillian Murphy talmente tanto velocemente che per un attimo ti illudi abbia vinto lui.
Maestro ha sbagliato edizione. Nel 1974 (la stessa di cui Cena ricorda l’iniziativa situazionista e nuda di Robert Opel) avrebbe sbancato. E Cooper con lui, con quella faccia un po’ così che sembra quella di un mostro sacro del passato.
Maestro, stia tranquillo. Nella migliore tradizione, l’Oscar la risarcirà. Premiandola, come fa di solito, quando non se lo meriterà. Lei si ricordi di aver ricevuto il premio più bello, la gratitudine e la stima dei tre figli di Bernstein.
Io Capitano 7
Pare che il Televideo abbia scritto che il film parlasse della Costa Concordia e del capitano Schettino. Una di quelle gaffe che fanno il giro e diventano storiche. Non c’è prova che non sia un fake, anche perché il 95% degli italiani (gli stessi di cui sopra) non sapevano neanche che questo servizio Rai fosse ancora attivo. Un po’ come molti non erano a conoscenza che Slash fosse ancora tra noi.
Non ascoltate di chi parlerà di delusione Garrone. In certi contesti la vittoria è la candidatura, le logiche del trionfo finale dipendono da variabili spesso incontrollabili, soprattutto se come quest’anno i tuoi rivali sono di livello altissimo (Glazer e Wenders su tutti).
La nomination ha sottolineato l’ottimo lavoro produttivo e creativo, da Rai Cinema al regista stesso, che si sono spesi per un posto al sole che cambierà il posizionamento di entrambi nel futuro dell’Academy. E questo conta più di tutto. Quindi bravi e c’è da giurare che l’appuntamento con la statuetta sia solo rimandato.
Zero spaccato ai complottisti, anche illustri, che paventano, dietro la vittoria di Glazer, l’ipotesi dell’influenza di una lobby che un tempo avrebbe fatto pure cadere le Torri Gemelle, confermando così la dolorosa attualità di un film come quello.
John Cena 6
Se potessi fare body shaming direi che quella busta me l’aspettavo più grande. Ma lo dico solo perché vorrei, in realtà, il body sharing. Scambiarci i corpi, ma non lo odio così tanto.
Detto questo sono combattuto dal premiare la sfacciataggine con cui rompe la sacralità del luogo con il suo nude look (citazione di un atto politico di protesta che compiva 50 anni) e l’anima del mio compianto nonno che invecchiando si fa sempre più largo in me che mi dice che però un minimo di rispetto per il luogo in cui stai e per l’evento a cui partecipi è dovuto.
Però, appena solo lo penso, sento il demone del “signora mia” avvilire il mio animo.
Il momento Bocelli (Andrea e Matteo) 5
Non è tanto il voto alla cartolina prevedibile di padre e figlio che cantano il pezzo che ormai all’estero ha soppiantato Volare e neanche una punizione per quei completi viola improbabili. Ma una bacchettata all’Academy che li usa nel momento sbagliato, finendo per togliere attenzione e persino solennità al momento In memoriam.
Ariana Grande e Jennifer Lawrence 4
In un red carpet in cui in molte hanno azzeccato il look (le nostre preferite, nell’ordine, Emily Blunt spaziale e coordinata col marito; Zendaya Kinder sorpresa, due abiti in uno più palme; Charlize Theron come sempre vestita da Dior, in tutti i sensi), la prima vorrebbe essere una nuvola rosa ma sembra una meringa e la seconda sarebbe elegante sì, ma in un diner a festeggiare un compleanno, 60 anni fa (e lo dice uno che pensa che lei all’Oscar potrebbe andare anche in pigiama). Margot Robbie annusando la debacle abbandona il rosa che indossa da mesi ai premi per il vestito di Anne Hathaway alla Milano Fashion Week.
Dobbiamo ancora decidere se la mise da scolaretta in collegio di povera nonna di Billie Eilish sia un’idea geniale o una delle cose più brutte mai viste al Dolby Theatre.
La cerimonia 3
Noiosa, piatta, salvata dal film che ha umiliato, Barbie, con Billie Eilish e Ryan Gosling che rubano il palco. Ma nell’anno in cui risorgono, rivoluzionati, i Golden Globes, questi Oscar in tono minore fanno ancora più rumore. Salvati da un voto ancora più basso dall’ora legale che ci ha fatto dormire almeno metà notte (ma che ha messo nei guai vari cinema che avevano organizzato l’evento, partendo dall’una di notte e ritrovandosi già a un terzo della cerimonia).
Aridatece Sanremo.
Jimmy Kimmel 2
Valutate che la battuta più bella è il tentativo di aprire un’asta per i pantaloni di Ryan Gosling, rosa paillettati. Quindi è merito di quest’ultimo. Conduzione fiacca, a volte fuori fuoco, con un monologo iniziale fiacchissimo. E in uno degli anni più complessi della storia dell’umanità, con due guerre che sono state pure ricordate alla cerimonia (Israele-Palestina con la spilla rossa indossata da molti, Ucraina-Russia con l’Oscar al miglior documentario a 20 Days in Mariupol) e un’elezione drammatica alle porte negli Stati Uniti, evita la politica neanche fosse un conduttore dei David di Donatello in diretta Rai.
Peccato perché quell’unica battuta su Trump (ci sta guardando? Non è tardi in prigione?) non era neanche male.
La diretta Rai 1
Alberto Matano. “W la Rai, quanti geni lavorano solo per noi” e per la notte degli Oscar che dopo anni a Sky arriva in Rai, tu scegli come conduttore Alberto Matano. Il peggio l’hanno fatto quando hanno interrotto la performance di Gosling per battute stanche e risatine. E dire che il parterre c’era pure, giornalisti di livello (Jacobbi e Monda top player), un Muccino che si poteva valorizzare di più, Angiolini, Gerini e Santamaria che pungolati potevano pure entusiasmarci, ma hanno giochicchiato.
Il punto è proprio Matano, inadeguato generalmente alla conduzione ma ancora di più in un contesto complesso come la notte degli Oscar, dove servirebbe più un lavoro “alla Gialappa” o una trasmissione di servizio che un talk che in certi momenti ti fa persino rimpiangere Cinematografo.
Matano. Ma almeno, se proprio volete, un Matano brillante e appassionato esiste pure. Ma si chiama Frank.
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