Oscar 2024, parla Christian Friedel: “In La zona di interesse ho ricercato l’umanità in mezzo all’orrore”

L'attore tedesco, che trasforma il comandante di Auschwitz Rudolf Höss in un "noioso burocrate" nel film Jonathan Glazer, rifiuta di interpretare Hitler e sogna una commedia: "La gente mi dice che in realtà sono divertente". L'intervista di THR

Pochi attori hanno incarnato sullo schermo l’intera gamma della storia tedesca moderna come Christian Friedel.

Nel dramma sull’Olocausto La zona d’interesse di Jonathan Glazer, candidato all’Oscar per il miglior film (oltre che in altre quattro categorie, tra cui quella per il miglior film internazionale), Friedel interpreta Rudolf Höss, il famigerato comandante di Auschwitz che, insieme alla moglie Hedwig (interpretata da Sandra Hüller), costruì una villa idilliaca con un bel giardino per i loro cinque figli proprio accanto al campo di sterminio.

Prima di La zona di interesse, il quarantacinquenne attore tedesco era noto soprattutto per aver interpretato il famoso combattente della resistenza antinazista Georg Elser in 13 Minutes, il film drammatico del 2015 di Oliver Hirschbiegel sul tentativo di Elsner di assassinare Adolf Hitler nel 1939. In Closed Season del 2012, Friedel ha interpretato un giovane rifugiato ebreo che si nasconde dai nazisti. E nel suo debutto cinematografico, ne Il nastro bianco (2009) di Michael Haneke, ambientato prima della Prima Guerra Mondiale, è stato un giovane insegnante di pianoforte, parte di una generazione che, come il pubblico sa, crescerà fino a diventare l’artefice del nazionalsocialismo.

“C’è una connessione tra Il nastro bianco e La zona d’interesse“, afferma Friedel, “perché i ragazzi del primo potrebbero essere gli assassini del secondo”.

Chi è Christian Friedel

Nato a Magdeburgo, Friedel è cresciuto, come la sua co-protagonista Hüller, nell’ex Germania dell’Est e, come Hüller, si è fatto le ossa nel teatro tedesco tanto che entrambi recitano ancora sul palco. I ruoli teatrali di Friedel tendono ai classici, in particolare a Shakespeare. Di recente ha celebrato la 150ª rappresentazione dell’Amleto, in cui interpreta il principe danese come una popstar dell’art-rock, con la musica della band di Friedel ispirata a Shakespeare, i Woods of Birnam.

Ma sullo schermo, la carriera di Friedel, dice, lo ha portato ai “poli più estremi” della storia tedesca, “da combattente della resistenza a ebreo in fuga a assassino nazista”. “In ogni caso”, afferma, “cerco di far luce su queste persone diverse e di trovare l’umanità dentro di loro. Anche con Rudolf Höss”.

L’interpretazione di Friedel nel ruolo di Höss è il cuore oscuro del film La zona d’interesse. Evitando sia il sentimentalismo che il comprensibile impulso a rappresentare Höss come un “mostro malvagio”, invita all’identificazione con il comandante nazista senza mai permettere di empatizzare con lui. Questo sottolinea l’approccio di Glazer con il film, che incoraggia il pubblico a vedere le somiglianze non tra se stesso e le vittime dei nazisti, ma con i carnefici, che ignorano diligentemente gli orrori commessi in loro nome, che avvengono appena fuori dalla vista.

L’intervista con THR

Nel corso di una conversazione di ampio respiro con The Hollywood Reporter, Friedel ha parlato del ruolo di Höss come “burocrate noioso”, del perché ha rifiutato per due volte il ruolo di Adolf Hitler e del perché, dopo molti ruoli drammatici, gli piacerebbe davvero provare una commedia: “La gente mi dice che in realtà sono abbastanza divertente”.

Come è diventato attore, c’era un background artistico nella sua famiglia?

Mio padre era un medico e mia madre un’economista che lavorava in una fabbrica, ma fin dall’inizio, direi dalla nascita, ero un intrattenitore. All’asilo usavo le marionette, facevo piccoli spettacoli. A scuola, durante la ricreazione, salivo su una panchina e cantavo per gli altri bambini. In pratica, è quello che faccio ancora.

La zona di interesse, candidato a 5 premi Oscar 2024

La zona di interesse. Courtesy of Wonder Pictures

Mia madre aveva intuito che ero adatto per il teatro, così quando ero in seconda elementare mi portò al teatro statale di Magdeburgo e mi fece scritturare come comparsa. Allo stesso tempo, facevo musica con il mio migliore amico. Sono sempre stati due percorsi paralleli nella mia vita, la musica e la recitazione. Dopo la caduta del muro di Berlino, quando sono arrivate sul mercato le tastiere elettroniche, ogni Natale ne prendevo una nuova e ho imparato a suonare. Non sono in grado di suonare un intero concerto per pianoforte, ma sono abbastanza bravo per la mia musica pop.

La mia situazione ideale è quando posso combinare recitazione e musica. In questo momento per esempio sto preparando un film con un amico, Markus Schleinzer, che sta dirigendo Sandra Hüller nel suo prossimo film, Rose. Il nostro film parla di Klaus Nomi, il controtenore tedesco che divenne una figura di culto nella New York degli anni Ottanta e morì, troppo presto, come una delle prime vittime dell’Aids. Io e la mia band ci occuperemo delle musiche e forse scriveremo alcune canzoni nostre. Cercherò di cantare io stesso le canzoni di Nomi.

Non è così che ha ottenuto il suo primo ruolo cinematografico, ne Il nastro bianco di Michael Haneke, perché sapeva suonare il pianoforte?

Ho sempre voluto fare cinema, fin da quando da bambino ogni domenica alle 9 andavo a guardare i film in sala. Ma è passato molto tempo prima che potessi girare il mio primo film. Per Il nastro bianco in realtà ho mentito. Cercavano un giovane che sapesse anche suonare il pianoforte e io dissi di saper suonare la musica classica, anche se non ne ero capace. Ho dovuto imparare tutti i pezzi di Bach e Schumann che suono nel film, ma è stata un’opportunità per entrare in questo mondo.

All’epoca, Haneke mi disse di aver avuto molte difficoltà nel fare il casting del film perché voleva attori che sembrassero appartenere a quell’epoca, una sorta di opposto delle persone che hanno “facce di sa cos’è un iPhone”.

Per lui invece io avevo un “volto storico”. Forse è per questo che vengo scritturato in così tanti film d’epoca. Ma è fantastico, mi piace saltare in una macchina del tempo. Certo, bisogna stare attenti a non rimanere bloccati in un periodo, come nel caso della Seconda Guerra Mondiale, che ho fatto spesso, sia con i ruoli in La zona di interesse  e 13 minuti che con la serie tv Babylon Berlin. Sembra che ci sia qualcosa nel mio aspetto che fa pensare alla gente che io starei bene nel passato, ma mi interessa anche fare film moderni o di fantascienza!

Ha avuto qualche timore nell’interpretare Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, per La zona d’interesse?

Sono stato attento. Mi è stato offerto di interpretare due volte Adolf Hitler e una volta il leader nazista Rudolf Hess, ma ho rifiutato perché si trattava di interpretazioni stereotipate che non mi interessavano. Ma appena ho incontrato Jonathan Glazer ho capito la sua visione, il suo approccio e la sua volontà di mostrare Rudolf Höss come un noioso burocrate in situazioni quotidiane e di dare a questa persona mostruosa un volto umano. Questo mi interessava. E, naturalmente, la possibilità di lavorare con Jonathan. Sono cresciuto con il suo lavoro senza saperlo, come fan dei Radiohead e dei Massive Attack, con i suoi videoclip. Solo molto tempo dopo ho capito che era tutto lavoro Jonathan. E ho capito che avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Anche interpretare un nazista.

The Zone of Interest di Jonathan Glazer

La zona di interesse (The Zone of Interest) di Jonathan Glazer

Mi è stato persino offerto Adolf Eichmann per una versione cinematografica della Conferenza di Wannsee, ma era nello stesso periodo in cui stavamo girando La zona d’interesse e ho pensato: un nazista soltanto è sufficiente! Ma che si tratti di interpretare Höss o Elsner o di interpretare un rifugiato ebreo come ho fatto in Closed Season, la sfida è sempre la stessa: come mi trasformo per interpretare l’uomo dietro il personaggio e non il cliché?

Come ha trovato il nucleo umano sotto la superficie mostruosa di Rudolf Höss?

Per me è stato il frutto delle discussioni con Sandra Hüller e con Jonathan Glazer. Mi era chiaro che se avessi interpretato Rudolf, avrei dovuto trovare un modo per riconoscermi nel ruolo. In piccoli aspetti del suo comportamento. In una scena è un padre amorevole, o in un’altra è un appassionato di cavalli, o in un’altra ancora è un buon manager, o qualsiasi altra cosa. Ho cercato di scomporre le singole scene per trovare connessioni emotive. Non stiamo glorificando questa figura e non la stiamo emotivizzando troppo, ma ci sono momenti, come quando Rudolf dice addio al suo cavallo, in cui si percepisce un vero senso di tristezza. Oppure quando parla con la moglie e notiamo il senso di fiducia che esiste tra loro. O quando percepisce il potere che ha all’interno del sistema e ne gode chiaramente. La sfida è stata quella di trovare quei momenti, di pensare alla loro origine e di cercare di trovare un collegamento con la mia personalità. È stata una ricerca difficile, ma ho pensato di doverlo fare per non mostrarlo solo come il mostro, solo come il criminale.

Ha fatto molte ricerche per il ruolo?

Per me è stato soprattutto un processo tecnico di preparazione. Ho dovuto perdere peso per le scene estive e poi ingrassare per quelle invernali. Poi, per le riprese, ho dovuto perdere di nuovo peso e riprenderlo. Il mio corpo era un po’ fuori controllo. Ho dovuto imparare a cavalcare perché non ero mai salito su un cavallo. Mi sono allenato per un anno e mezzo con un grande stuntman.

Ho letto un po’ della biografia di Höss e ho ascoltato la sua voce online dal processo di Norimberga, ma lì si sente la voce di un prigioniero e non quella di un comandante nei suoi giorni di gloria. Ho anche letto i giornali dell’epoca.

Una scena de La zona d'interesse

Una scena de La zona d’interesse

Ma poiché non stavamo facendo un biopic, ma cercavamo di collegare i personaggi a noi stessi e di dare una nostra interpretazione molto particolare di questa famiglia, i dettagli principali erano tecnici e specifici. Si trattava del tipo di abiti che indossavano, delle acconciature e dei particolari tratti dai resoconti dei testimoni oculari dell’epoca. La costruzione del personaggio è avvenuta soprattutto grazie ai colloqui che ho avuto con Sandra e Jonathan.

Poi c’erano le riprese stesse e l’approccio di Jonathan, che utilizzava più telecamere, questo stile da “Grande Fratello in una casa nazista“, significava che era bene non essere troppo preparati. Perché lo stile ci ha permesso di avere la libertà di improvvisare, di fare errori o di provare variazioni sul set, senza essere vincolati da un grande piano prestabilito.

Che tipo di indicazioni vi ha dato Glazer sul set?

Abbiamo parlato delle scene, ma Jonathan non ci ha mai detto come farle. Abbiamo fatto il blocco tecnico il giorno prima di ogni ripresa, annotando ad esempio in quali stanze avremmo girato, e poi il giorno stesso abbiamo iniziato a girare senza alcuna prova. Dopo ogni ripresa, qualcuno gridava “Taglia!”. Oppure, a volte, nessuno gridava “taglia” e noi restavamo nella stanza e continuavamo a recitare. Potevamo ricominciare o continuare a improvvisare e spesso improvvisavamo.

C’è la scena in cui la famiglia cena e Rudolf dice che viene trasferito a Berlino. Era stata scritta prevedendo che prima facesse un discorso e poi cenasse. L’ho fatta e ho potuto scegliere di rifarla, cosa che ho fatto, poi ho fatto una variazione con il discorso dopo la cena e altre cose. Era un approccio quasi documentaristico. Non essendoci troupe sul set, potevamo muoverci dove volevamo; avevamo una libertà incredibile. Per i bambini è stato fantastico, perché si sono dimenticati delle telecamere e del fatto che si trattava di un film: A volte abbiamo fatto riprese di un’ora e mezza senza pause.

Nella scena della festa in giardino, i bambini giocavano, mangiavano biscotti e bevevano limonata, mentre io e Sandra ripetevamo le nostre battute in continuazione, come in un loop. Dopo tre ore e mezza, i bambini si erano dimenticati del film e si stavano divertendo.

Quando avevamo una scena breve, Jonathan a volte veniva sul set e ci sfidava a improvvisare e a dare un’interpretazione diversa, il solito tipo di cose che ti dice un regista. Ma ogni giorno era diverso.

Glazer le ha detto di smorzare l’emotività della sua interpretazione per tenere nascosto il mostro di Höss?

Assolutamente sì. Spesso mi diceva quando, nelle scene più emotive, la mia figura diventava troppo aggressiva, quando si vedeva l’assassino dentro Höss. Jonathan ha voluto escludere questo aspetto. Perché era più potente nelle scene in cui lo si poteva sentire ma era nascosto, che è il concetto stesso del film.

Ogni volta che la mia interpretazione diventava troppo evidente, Jonathan se ne accorgeva. Anche se non capisce il tedesco, ha sempre notato quando la mia interpretazione diventava eccessiva. Mi diceva: “Hai una tensione nel corpo, come un arco teso, ma non puoi mai farlo volare”. Non possiamo mai vedere l’aggressività di Rudolf, vederlo come il colpevole, l’assassino, ma dobbiamo sempre percepirlo”.

Non era un tipico set cinematografico, ma sembra che non fosse nemmeno un teatro, perché non c’era un pubblico. Era simile a qualcosa che aveva fatto in precedenza?

No, non avevo mai provato nulla di simile. Ed è stato incredibile. Perché non c’erano problemi di continuità. Lavorando come attore cinematografico puoi ritrovarti in situazioni in cui il regista dice: “Il bicchiere era 2 centimetri a destra e devi bere dopo la seconda frase e ridere dopo la quarta”. Non c’era nulla di tutto questo. Non dovevi preoccuparti degli angoli o se ti giravi a destra o a sinistra. Potevamo muoverci liberamente.

È stato fantastico non vedere la squadra. Jonathan era in una roulotte all’esterno, gli addetti alla messa a fuoco erano nel seminterrato. A volte la casa era inquietante, soprattutto di notte, ma anche questo era utile. Si aveva la sensazione di avere tutto il tempo del mondo. Per me è stato un lusso assoluto, ma anche una situazione che mi metteva alla prova perché non mi dava modo di nascondermi.

Una scena de La zona d'interesse

Una scena de La zona d’interesse

Significava anche che dovevamo essere sempre completamente concentrati. Non c’è stato il problema del: “ora la telecamera è su Sandra, quindi Christian può rilassarsi, o il contrario”. Siamo stati sempre tutti nella stessa situazione, dovevamo rimanere concentrati e questo ha portato a una sensazione specifica sul set che può essere incredibilmente difficile da catturare. Ma grazie al modo di girare di Jonathan, questa sensazione c’è stata fin dall’inizio.

Come ha influito la presenza sul set di Auschwitz sulla sua performance o sulla sua mentalità durante le riprese?

È stato molto intenso. Potevamo visitare il museo e il campo durante le riprese o dopo. Ho deciso di visitare il museo prima di iniziare le riprese. Anche per poter vedere dove lavorava Rudolf. La guida era a conoscenza del progetto cinematografico e ci ha raccontato cose di cui di solito non parla nelle normali visite guidate, anche sulla famiglia Höss, e io avevo già fatto il taglio dei capelli alla Rudolf ed ero così imbarazzato che mi sono messo un cappello nonostante facesse molto caldo. Le dimensioni del campo mi hanno veramente scioccato. È qualcosa che ho portato con me per tutto il tempo: la dimensione degli eventi, la vergogna, la responsabilità nei confronti delle vittime, il contesto storico in cui mi trovavo in quanto tedesco. Era sempre presente.

Abbiamo girato una scena nella casa di Höss, nei tunnel dove Rudolf si lava. Quella era la casa originale, perché c’era un sistema di tunnel in cui poteva viaggiare, senza essere visto, tra la sua casa e l’ufficio, e che, come è stato documentato, usava per gli affari. E guardare dalla camera dei bambini le camere a gas è stato estremamente intenso.

Ma devo anche ammettere che quando avevo un giorno libero e andavo in un caffè nella bella piazza della città a scrivere delle e-mail o a leggere qualcosa, mi sorprendevo a dimenticare dove mi trovavo. Questo mi ha sorpreso, ma mi ha fatto capire quanto sia facile dimenticare, anche lì, ad Auschwitz, dove si sa esattamente cosa è successo. Quanto sei vicino ai campi di sterminio e quanto è facile dimenticare.

Da Georg Elsner in 13 minuti a Rudolf Höss ne La zona d’interesse, lei ha davvero coperto l’intera gamma della storia tedesca recente.

È iniziato con Il nastro bianco. In realtà c’è un collegamento tra Il nastro bianco e La zona d’interesse, perché i bambini del primo potrebbero essere gli assassini del secondo. Dopo Il nastro bianco ho interpretato un ebreo in fuga in Closed Season e poi Elsner che, tra i primissimi, combatteva il sistema e non riusciva a credere che la gente chiudesse gli occhi su ciò che stava accadendo. Per me è stato un lavoro molto emozionante e intenso.

Il lavoro in questi film è stato di grande ispirazione per me, e non solo come attore. Non è stata solo l’opportunità di lavorare con visionari come Michael Haneke e Jonathan Glazer, ma mi ha aiutato a crescere come persona. Spero di essere stato in grado di far luce su questi diversi poli della storia tedesca e di trovare, in ognuna di queste persone, la loro umanità.

Per quanto riguarda Höss, penso che fosse suscettibile, predisposto per questa ideologia fascista e nazista, ma aveva certi talenti e spesso mi sono chiesto cosa gli sarebbe successo in un sistema diverso. Ma lui ha scelto questo sistema, lo ha seguito e ha goduto del potere che gli ha portato. Lo si vede nelle foto che lo ritraggono. Si vede una persona molto soddisfatta di sé che si gode il suo potere. Georg Elsner, al contrario, era una persona che voleva veramente cambiare il mondo. Non si trattava di lui, ma di tutti gli altri.

Una scena de La zona d'interesse

Una scena de La zona d’interesse

Nonostante tutto questo, il bello della mia carriera è che spesso la gente non mi riconosce o non mi collega agli altri ruoli che ho fatto. Penso che sia fantastico, perché mi vedo sempre come un singolo colore in una grande opera d’arte. Mi piace fare un passo indietro e aprirmi alla visione del regista per vedere cosa posso imparare e sviluppare come attore. Con il ruolo in La zona di interesse ho dovuto davvero affrontare le mie paure, ma sono molto grato per questa esperienza.

Una cosa che non hai fatto molto è la commedia…

Sì, anche se la gente mi dice che sono molto divertente! Mia madre, quando era ancora viva, desiderava che facessi una commedia. Penso che la farei anche bene. Il problema è che in Germania non ci sono molte buone commedie. Qui c’è un gran numero di grandi comici e attori comici, ma finora non ho trovato una commedia in cui penso di potermi inserire.

Forse serve che a scriverle siano anche più tedeschi dell’est, come lei. Spesso la differenza tra l’ovest e l’est della Germania è il senso dell’umorismo. I tedeschi dell’est tendono a essere più ironici e più sottili nel loro umorismo.

Sicuramente! Noi tedeschi dell’est tendiamo a ridere molto di più di noi stessi. Credo che questo sia importante. Soprattutto per noi “artisti” è qualcosa da ricordare. Non prendersi troppo sul serio.