L’appello degli autori comici israeliani: “Chiediamo il rilascio dei 242 ostaggi, è una questione umana”

"Mi rivolgo al popolo americano: non smettete di fare pressione. Per favore, aiutateci", ha dichiarato Hen Avigdori, sceneggiatore di sitcom. Si ritiene che sette membri della sua famiglia siano stati presi da Hamas

Gli sceneggiatori e registi comici israeliani hanno lanciato un appello chiedendo la liberazione dei 242 ostaggi catturati da Hamas. Tra di loro c’è Hen Avigdori, autore di battute e sceneggiature per programmi satirici e sitcom come The Jews Are Coming, Sofsheli, Ad Kan! e Tzomet Miller.   

Il 7 ottobre la milizia ha attaccato il Kibbutz Be’eri nel sud di Israele. Si ritiene che sua moglie, Sharon Avigdori, 52 anni, e sua figlia di 12 anni, Noam, insieme a altri cinque membri della famiglia siano ora ostaggio del gruppo fondamentalista religioso. “È questa la mia vita ora. Ho una missione, riportare le ragazze a casa”, ha affermato un angosciato Avigdori a The Hollywood Reporter, in un’intervista rilasciata nel fine settimana da Hod HaSharon, nel centro di Israele.

Ha sentito l’ultima volta la moglie e la figlia, che erano in visita dal cognato, mentre si rifugiavano nella casa dell’uomo nell’insediamento di Be’eri, proprio mentre le milizie di Hamas avevano scatenato la loro furia, dopo essersi infiltrati nel sud di Israele dalla Striscia di Gaza. “Mi hanno detto: ‘Stiamo andando nella stanza di sicurezza. È tutto a posto’. Ho parlato con il fratello. Mi ha detto: ‘Le ragazze sono un po’ preoccupate. Non sono abituate ai bombardamenti e ad andare nel rifugio. Hanno un po’ paura, ma staranno bene”, ha raccontato Avigdori.

Ma circa un’ora dopo ha ricevuto un altro messaggio dal fratello di sua moglie, Avshalom Haran. “Mio cognato ha detto che sono in grossi guai, spera che sopravvivranno”, ha ricordato Avigdori. Alla fine, Haran è stato trovato morto, insieme ad altri due membri della famiglia, Lilach e Eviatar Kipnis, che vivevano anche loro nel kibbutz Be’eri.

La moglie, la figlia e altri cinque membri della famiglia di Avigdori – Shoshan Haran, 67 anni, Adi Shosham, 38 anni, Tal Shoham, 38 anni, Naveh Shoham, 8 anni, e Yahel Neri Shoham, 3 anni – sono scomparsi e si ritiene che siano tenuti in ostaggio a Gaza, dopo che la loro casa è stata bruciata e i loro corpi non sono stati trovati. In totale, circa 100 israeliani su una comunità di circa 1.100 persone sono stati uccisi nel Kibbutz Be’eri, mentre le milizie di Hamas colpivano via terra, mare e aria, in un attacco che ha provocato una reazione ancora in corso da parte delle forze militari israeliane a Gaza.

L’appello dei registi e autori israeliani

In una videochiamata su Zoom, Avigdori fumava a ripetizione, con pesanti borse sotto gli occhi. Nelle chiacchierata, ha implorato le persone di tutto il mondo – specialmente i colleghi creativi di Hollywood – ad aiutare a riportare a casa i suoi cari. “Non dimenticate che ci sono 242 ostaggi civili – donne, bambini, neonati, anziani, persone con bisogni speciali – che dovrebbero tornare dai loro cari il prima possibile”.

“A tutti gli americani che pensano che la vita sia importante: non è una questione ebraica, non è una questione israeliana, è una questione umana. Nessuno dovrebbe andare a dormire senza abbracciare la propria figlia e il popolo americano dovrebbe continuare a fare pressione per far uscire gli ostaggi vivi, in salute e in fretta”, ha dichiarato Avigdori a THR.

Ha aggiunto che gli americani potrebbero anche scrivere ai loro politici locali per chiedere sostegno e azione per riportare a casa gli ostaggi da Gaza. “Possono scrivere ai loro membri del Congresso, possono fare tutto ciò che vogliono, tutto ciò che è in loro potere per far sì che questa sia considerata una questione umanitaria, una questione umana e per farli uscire vivi”, ha insistito Avigdori.

La testimonianza di Shira Havron

Anche Shira Havron, regista di Tel Aviv, nipote di Shoshan Haran e cugina di Adi Shosham, ha dichiarato che la sua vita è cambiata il 7 ottobre in modi che non avrebbe mai potuto immaginare. “Non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere alla mia famiglia”, ha dichiarato a THR, ribadendo che la sorte dei 242 ostaggi a Gaza merita l’attenzione e il sostegno del mondo.

“Questo non è un giorno come gli altri nel conflitto israelo-palestinese. Siamo consapevoli di provenire da una regione complicata. Ma si tratta di 242 persone portate via dalle loro case nelle mani di un’organizzazione terroristica”, ha affermato. Havron ha aggiunto che il fatto di non conoscere la sorte dei familiari non fa che accrescere la preoccupazione della sua famiglia e la necessità di vederli tornare a casa prima che a Gaza venga fatto loro del male o peggio.

“Chiediamo la cosa più elementare, un segno di vita, che la Croce Rossa li veda e che vengano riportati a casa”, ha aggiunto. I nonni di Havron hanno contribuito a fondare il Kibbutz Be’eri nel 1947 dopo essere sopravvissuti all’Olocausto in Germania.

La testimonianza di Aaron Geva

Aaron Geva, co-regista e script editor della serie tv comica israeliana Chanshi, interpretata anche da Henry Winkler e presentata in anteprima al Sundance, ha ricordato parlando con THR gli eventi del 7 ottobre in cui, come cugino di Shoshan Haran, ha appreso che 12 membri della sua famiglia al Kibbutz Be’eri erano sotto attacco.

La famiglia di Geva era abituata a ricevere notizie di razzi lanciati dalla Striscia di Gaza verso il sud di Israele, ma la maggior parte di essi veniva intercettata dall’esercito israeliano e raggiungere un rifugio nel Kibbutz Be’eri era sempre sufficiente a garantire la sicurezza. Ma il giorno dell’attacco di Hamas, i telefoni di Geva e della sua famiglia sono stati tempestati da macabri messaggi che informavano che le milizie di Hamas avevano raggiunto gli insediamenti nel sud di Israele e stavano attaccando le case e la popolazione locale.

“Ci è voluto del tempo anche solo per capire chi è vivo e chi no. Voglio dire, i danni subiti dai corpi erano così orrendi che ci è voluto tempo per identificarli”, ha aggiunto Geva a proposito delle immediate conseguenze degli assalti del 7 ottobre. E ha insistito sull’urgenza di liberare gli ostaggi prima che l’esercito israeliano intensifichi ulteriormente la sua campagna di ritorsione a Gaza e mentre gli israeliani iniziano lentamente a tornare a una vita normale.

“Questa è la paura più grande, che questo diventi parte della nostra realtà, che ci siano altre 240 persone a Gaza, sotto la superficie (nei tunnel) e da sole, senza sapere quali cure ricevano, cosa stiano passando. E si comincia a pensare che questa sia la nuova normalità qui”, ha detto Geva. 

Traduzione di Nadia Cazzaniga