Dall’Iran alla Polonia, quando sulla scelta dell’Oscar cala la scure del potere

Due candidature per il miglior film straniero, quest’anno, sono più politiche delle altre: The Night Guardian per l’Iran e The Peasants per la Polonia. L'associazione dei filmaker indipendenti iraniani chiede all'Academy l'istituzione di un garante per il cinema "libero" di Tehran

Per una cerimonia glamour come l’Oscar, le candidature a miglior film in lingua straniera sono un ritorno al reale. Tra i film che quest’anno si contenderanno la nomination c’è un documentario slovacco sulla vita nel rifugio anti-bombe di Kharkiv, uno canadese sul conflitto in Kurdistan, il dramma d’autore inglese sulla Shoah e quello italiano sulle migrazioni nel Mediterraneo. Ma due candidature, quest’anno, sono più politiche delle altre: The Night Guardian per l’Iran e The Peasants per la Polonia.

La Polonia ha scelto The Peasants per non scegliere The Green Border, il dramma di Agnieszka Holland sui rifugiati in Bielorussia, portati al confine con la promessa che potranno entrare in Europa, e poi respinti dalle guardie di frontiera polacche. The Green Border ha riscosso tanto successo a Venezia (alla Mostra ha vinto il premio speciale della Giuria) quanto dissenso a Varsavia, dove le autorità hanno cercato di boicottarlo in ogni maniera possibile.

Non ha gradito la rappresentazione delle guardie di frontiera Andrzej Duda, il presidente polacco, che ha invitato i propri cittadini a non andare a vedere il film. Il ministro della giustizia Zbigniew Ziobro lo ha definito propaganda nazista. “Conosco tutti i membri della commissione e mi hanno detto che pensavano che il mio film fosse la scelta migliore e che avrebbe avuto le migliori possibilità agli Oscar. Ma temono che il governo li punisca se lo scelgono, limitando le sovvenzioni o i finanziamenti per i loro film”, ha detto Holland.

Green Border (Zielona Granica) di Agnieszka Holland

Green Border (Zielona Granica) di Agnieszka Holland

The Green Border avrebbe avuto buone chance per una nomination. Sarebbe stato inaudito non sceglierlo, se non fosse per The Peasants, secondo la stessa Holland, “un film eccellente e artisticamente creativo. Non hanno scelto un film di propaganda di merda. È un ottimo film e mi congratulo con i registi”. Lo stesso non si può dire di The Night Guardian del regista Reza Mirkarimi: non perché sia brutto, ma perché nessuno, fuori dall’Iran, lo ha mai visto.

Il film è stato scelto dalla Farabi Cinema Foundation, l’ente che tutti gli anni sceglie il candidato iraniano, su mandato delle istituzioni e con l’approvazione dell’Academy.

È quasi impossibile che The Night Guardian ottenga una candidatura all’Oscar: il film non è stato mai mostrato ad alcun festival internazionale, se non l’iraniano Fajr, la principale rassegna del paese, organizzata dal ministero della cultura e dell’orientamento islamico. Istituita per sostenere e promuovere il cinema iraniano, la Farabi Foundation non è stata particolarmente d’aiuto per Mohammad Rasoulof, Jafar Panahi, Mojgan Ilanlou e Saeed Roustayi, quattro dei registi arrestati nell’ultimo anno dalle autorità iraniane.

Vige per loro l’obbligo di girare film “in linea con gli interessi e la moralità della nazione”, o di non girarne proprio. Scarcerato a febbraio, Panahi ha lasciato il paese ad aprile. Per dieci anni gli è stato impedito di fare film, ma Panahi li ha girati comunque, tra cui This Is Not a Film, mandato a Cannes attraverso una chiavetta USB nascosta in una torta, e Gli orsi non esistono, Premio speciale della giuria sempre a Cannes.

In risposta alla selezione di The Night Guardian, l’associazione dei filmmaker iraniani indipendenti ha rilasciato una dichiarazione molto critica nei confronti non solo della Farabi Foundation, ma anche dell’Academy: “Nell’ultimo anno, i cineasti iraniani sono stati imprigionati, interrogati e intimiditi. Farabi ha svolto un ruolo chiave nell’attuare questa severa repressione. Poniamo all’Academy una semplice domanda: come può un’istituzione, nota per la sua censura e repressione, rappresentare il cinema iraniano?”.

È una domanda che non ha una risposta facile. Strade alternative per le candidature potrebbero scatenare incidenti diplomatici a Hollywood quanto a Washington. Il dramma è politico e culturale: la vetrina degli Oscar può dare rilevanza globale a cinematografie e tematiche fuori dalla bolla cinefila e festivaliera. Per The Green Border, Holland non ha ancora trovato un distributore per i paesi anglofoni, e lanciare una campagna per gli altri premi dell’Oscar richiede cifre esorbitanti.

Secondo l’associazione dei filmmaker iraniani indipendenti, non può più essere il regime iraniano a scegliere il proprio candidato: “Farabi nega ai registi indipendenti i loro diritti fondamentali, trasformando al contempo la selezione degli Oscar in una sorta di premio per l’apparato di propaganda del regime. Suggeriamo che un gruppo selezionato di membri dell’Accademia esamini annualmente i film iraniani indipendenti presentati nei più importanti festival internazionali, al fine di nominare un rappresentante del cinema indipendente iraniano per gli Oscar.”

L’associazione dei filmmaker indipendenti è nata a inizio anno per difendere la libertà d’espressione dei registi iraniani, ed era presente sul tappeto rosso veneziano durante il flash-mob per l’Iran dello scorso due settembre. Il flash-mob si era tenuto in occasione della proiezione del film Tatami, su una judoka iraniana alla quale viene ordinato di smettere di gareggiare il campionato mondiale, per evitare una possibile sconfitta contro la sfidante israeliana.

Tatami è stata una delle tante espressioni di vitalità del cinema iraniano quest’anno, insieme a Empty Nets, il dramma sulla disoccupazione che ha vinto il premio speciale della giuria a Karlovy Vary o a Shayda, il film su una donna iraniana che scappa dal marito violento, premio del pubblico al Sundance (sarà il film che rappresenterà l’Australia). L’iraniano Critical Zone ha vinto il Pardo d’oro a Locarno, quest’anno: il regista Ali Ahmadzadeh, latitante, non lo ha potuto ritirare.

La scelta di The Night Guardian è avvenuta a un anno dalle proteste scatenate dall’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza morta tra le mani della polizia, dopo essere stata arrestata per aver indossato un hijab troppo allentato.